Truffa del superbonus, arrestato commercialista: inviava falsi dati all'Agenzia delle Entrate

Lavori di ristrutturazione in un edificio
PORTO VIRO - Cercava collaboratori. Un post su Facebook, proprio mentre si stavano completando gli ultimi passaggi prima della richiesta della custodia cautelare in carcere...

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PORTO VIRO - Cercava collaboratori. Un post su Facebook, proprio mentre si stavano completando gli ultimi passaggi prima della richiesta della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti, con l’accusa di avere un ruolo di primissimo piano nell’ambito della maxitruffa, sui soldi stanziati dallo Stato per aiutare le imprese in difficoltà dopo la pandemia, in particolare insinuandosi nelle maglie del bonus affitti, del bonus sisma e del bonus ristrutturazioni. Milioni e milioni di euro che, secondo le accuse mosse dalla Procura di Rimini, dove era il cuore pulsante di tutta l’organizzazione, sarebbero stati indebitamente percepiti. Il 41enne commercialista Matteo Banin, nato a Rovigo e formalmente residente a Chioggia, ma operativo con il suo studio a Porto Viro, secondo gli inquirenti, sarebbe stato costantemente in contatto con altri tre dei soggetti ritenuti i promotori dell’associazione che creava e cedeva falsi crediti d’imposta per milioni e milioni di euro, fornendo il suo apporto professionale. In particolare, si sarebbe occupato principalmente di inviare le comunicazioni all’Agenzia delle Entrate, con le credenziali fornite dagli amministratori compiacenti delle società coinvolte per generare i crediti d’imposta fittizi. E - come emergerebbe anche dalle numerose intercettazioni - sarebbe stato pienamente consapevole di quanto stava facendo.



IL “GIOCHETTO”

Il “giochetto”, per un addetto ai lavori, non era poi troppo complesso. Si sarebbe trattato, per esempio per quanto riguarda i bonus relativi all’affitto, di far figurare canoni di locazione enormemente più alti di quelli versati, in qualche caso addirittura mai corrisposti. Poi, i crediti d’imposta così gonfiati venivano ceduti ad un’altra società, poi frammentati e ceduti ancora a terzi, anche in buonafede, rendendo così complicatissimo il tracciamento. Una “falla” nel sistema, provocato proprio dalla libera circolazione dei crediti maturati. Il problema, come emerge in un’intercettazione è caricare i dati e cliccare. «È che vai avanti a 40, 50 alla volta... Quindi, praticamente, per fare 297 moduli vuol dire che ti ci vogliono 70 ore, 70 ore di lavoro». Ma, come dice a Banin un altro degli indagati, «Facciamo un bingo che tu non hai idea. Tu finisci di fare il commercialista ufficiale, vi vedete tre volte a settimana lì a Dogato». Un’organizzazione ramificata in tutta Italia, con una sorta di nuclei autonomi, che, secondo le indagini della Guardia di Finanza di Rimini, avrebbe creato e commercializzato falsi crediti di imposta per 440 milioni di euro.
L’associazione a delinquere, che secondo l’ipotesi investigativa sarebbe stata composta da 56 persone, che si sarebbero avvalse di 22 prestanomi, avrebbe avuto un un “nucleo centrale” formato da 12 persone, tutte sottoposte a misure cautelari di custodia, tra imprenditori e commercialisti. Fra i quali, anche il professionista polesano. Nelle pagine delle intercettazioni il suo nome ricorre spesso. Dà consigli, spiega il funzionamento delle pratiche. E carica i dati. Un’operazione lunga, perché ci vuole tempo per ciascuna delle richieste.

LO “SCHERMO”

Tutto iniziava andando alla ricerca di aziende in difficoltà, “decotte”, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta; poi il rappresentante di queste società veniva sostituito da un prestanome, dal quale ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti. Poi avveniva l’inserimento delle comunicazioni, dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi o aver effettuato interventi di ristrutturazione mai fatti, così da generare crediti di imposta fittizi, che poi venivano ceduti a società compiacenti e, dopo il secondo passaggio, a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione.
Fra gli indagati figurano anche altri polesani: un 35enne di Rovigo residente ad Adria, una 50enne nata ad Adria e residente a Porto Tolle ed un 73enne di Ariano residente a Comacchio.

 

 

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Il Gazzettino