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BOLOGNA - Associazione a delinquere finalizzata alla messa in commercio di opere d’arte false, alla truffa e all’autoriciclaggio. Sono le accuse mosse dalla Procura di Bologna contro 7 persone tra le quali figurano anche due professionisti trevigiani, esperti del mondo dell’arte e dei suoi meccanismi, che all’interno del sodalizio avevano il ruolo di mediatori. Ovvero, secondo l’accusa, procacciavano i clienti a cui rifilare quadri, stampe e disegni contraffatti di artisti famosi. L’indagine, coordinata dai sostituti procuratori bolognesi Antonio Gustapane ed Elena Caruso, ha portato ieri i carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale di Bologna e il nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza felsinea, su ordine del gip Gianluca Petragnani Gelosi, a mettere i sigilli circa 500 opere contraffatte del pittore irlandese Francis Bacon e a eseguire un sequestro preventivo al fine della confisca di beni e denaro per un valore complessivo di 3 milioni di euro.
L’INDAGINE
L’inchiesta era partita nel 2018 quando militari e fiamme gialle avevano smascherato l’attività illecita di uno dei sette indagati: i carabinieri, nell’ambito dell’operazione Paloma, avevano sequestrato all’uomo numerose opere d’arte contemporanea contraffatte, tra cui due disegni di Bacon (che l’uomo dichiarò fossero provenienti dalla collezione privata di un altro degli indagati che disse di averli ricevuti direttamente dall’artista irlandese), mentre la guardia di finanza stava analizzando le sue movimentazioni finanziarie con l’estero risultate incompatibili con le sue fonti lecite di rddito. I successivi sviluppi investigativi, anche con tecniche complesse volte a stabilire la non autenticità delle opere e con l’attivazione di canali internazionali per scoprire la destinazione degli fondi derivanti dalle truffe legate alla vendita dei quadri, hanno permesso di sequestrare, tra i mesi di marzo e maggio del 2020, sia a Treviso che a Bologna, altre 13 opere attribuite sempre a Francis Bacon; sigilli anche per lavori contraffatti rinvenuti nel Padovano.
IL MECCANISMO
Il sodalizio, secondo l’accusa, si serviva di una società inglese per convogliare i flussi di denaro al fine di “ripulirli” e poi ridistribuirli ai sette indagati direttamente o attraverso imprese nazionali ed estere con sede in Spagna e Polonia.
Il Gazzettino