Invalido truffato da mamma e cugina, sottratti 500mila euro: condannate entrambe

Confiscati 260mila euro. Le verifiche delle Fiamme gialle dopo la segnalazione dell’ex compagno della vittima

Invalido truffato da mamma e cugina da più di dieci anni: condannate entrambe
PORDENONE - Un figlio invalido, una madre nominata amministratrice di sostegno e accusata di peculato in concorso con una nipote che lavorava in banca. La prescrizione ha eroso le...

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PORDENONE - Un figlio invalido, una madre nominata amministratrice di sostegno e accusata di peculato in concorso con una nipote che lavorava in banca. La prescrizione ha eroso le contestazioni relative al 2010. Per i successivi sette anni, dal 2011 al 2018, il collegio presieduto dal giudice Alberto Rossi (a latere Piera Binotto e Francesca Ballore) ieri ha inflitto tre anni di reclusione a una 77enne di Pordenone e 3 anni e 4 mesi alla nipote, 59 anni, residente a Portogruaro. Entrambe sono state interdette dai pubblici uffici. Alla parte civile, la nuova amministratrice di sostegno (il legale Anna Micossi) costituita con l’avvocato Danilo De Vito, è stata disposta una provvisionale di 15mila euro; all’ex compagno di vita della vittima, costituito con l’avvocato Nadia Forlin, 5mila euro. La quantificazione del danno è rimandata al giudice civile. Il Tribunale ha inoltre confiscato 260mila euro relativi a spese non giustificate: 148mila alla madre (accusata anche di omissione continuata in atti d’ufficio aggravata) e 112mila alla cugina della vittima. Il pm Maria Grazia Zaina, sulla scorta degli accertamenti della Guardia di finanza, a suo tempo aveva ottenuto un sequestro preventivo per equivalente fino a 241mila euro, pari alla somma confluita senza giustificazione nei conti della nipote e di una Srl dalla stessa rappresentata.


LA VICENDA
È il 2008 quando il giovane resta totalmente invalido in seguito a un incidente stradale e ottiene un risarcimento di 450mila euro dall’assicurazione. Viveva con il compagno in provincia di Treviso, avevano acquistato casa assieme e il mutuo era cointestato. Sarà l’allora compagno a dotare l’abitazione di montacarichi, letto e attrezzature per far fronte alla drammatica condizione del partner. Nel 2009 la madre viene nominata amministratrice di sostegno, riporta il figlio in Friuli e ottiene lo scioglimento della comunione dell’immobile cointestato al figlio. L’ex compagno, che non ha più potuto rivedere l’uomo con cui era andato a convivere, ottiene dal Tribunale di Treviso il rimborso delle rate del mutuo non pagate. Ma la madre non verserà mai i 21mila euro e altri 11mila per le spese di giudizio confermati anche dalla Corte d’appello di Venezia. Nel 2016 viene così avviata una procedura di pignoramento e si scopre che il conto corrente è praticamente vuoto. Il caso viene segnalato al giudice tutelare di Pordenone ed emerge che dal 2009 la donna non presenta le rendicontazioni annuali.


L’INCHIESTA


Secondo l’accusa, sarebbero state prosciugate risorse finanziarie pari a 504mila euro, di cui 263mila (autorizzati dal giudice) per acquistare una casa e renderla compatibile con le condizioni del figlio rimasto invalido. Altri bonifici sono stati emessi a favore di conti intestati alla coimputata di Portogruaro, alcuni con la causale “prestito infruttifero” finiti nel conto di una società amministrata dalla cugina della vittima. La vittima - difesa dagli avvocati Francesco Longo e Francesca Cazorzi - ha sempre respinto le accuse facendo presente che il figlio, non autosufficiente e totalmente dipendente dagli altri, ha bisogno di assistenza a ogni ora del giorno e della notte. Unica delegata a operare sul conto corrente del figlio quando era amministratrice di sostegno, nel corso dell’istruttoria ha giustificato diversi trasferimenti sospetti di denaro sul proprio conto personale. L’importo contestato è stato ridefinito, ma non ha evitato la pesante condanna. Il non doversi procedere è stato invece dichiarato per i fatti contestati fino al 9 dicembre 2010. L’omissione in atti d’ufficio riguardava il mancato versamento di quanto dovuto al partner del figlio: un reato aggravato dal fatto che, secondo l’accusa, è stato commesso per motivi abietti, al solo di fine di danneggiare il giovane con cui il figlio aveva un legame affettivo. Una seconda contestazione era invece relativa al fatto che aveva demandato la gestione alla nipote omettendo di presentare i rendiconti al giudice per ogni annualità. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino