Truffa delle biomasse, il pm chiede tre anni per due imprenditori: «Condannateli»

La Ceb di Longarone
BORGO VALBELLUNA - «La truffa è provata: condannateli a 3 anni». È questa la richiesta pronunciata ieri, 5 marzo, dal pm per due dei 4 impianti del...

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BORGO VALBELLUNA«La truffa è provata: condannateli a 3 anni». È questa la richiesta pronunciata ieri, 5 marzo, dal pm per due dei 4 impianti del maxi-raggiro delle biomasse. Un'indagine su oltre 27mila tonnellate di legname, destinate a due centrali a biomassa bellunesi ovvero la Sicet di Ospitale e la Ceb di Longarone: erano state dichiarate provenienti da "filiera corta" senza averne in realtà i necessari requisiti. In breve: il cippato non era a chilometro zero o poco più, bensì arriva da più lontano. Forse addirittura dall'estero.

IN AULA
Le accuse andavano dalla truffa e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche alla turbativa d'asta che però è prescritta. La richiesta di condanna è stata pronunciata al termine di una lunga requisitoria ieri pomeriggio in Tribunale a Belluno per l'imprenditore Graziano Slongo, 63enne residente a Santa Giustina, titolare di ditta individuale e anche di Bioenergia e per la coetanea Paola Facchin anche lei di Santa Giustina (dipendente della ditta). Entrambi sono difesi dall'avvocato Mauro Gasperin, ieri sostituito in aula dalla collega Monica Azzalini. La procura ha chiesto invece la prescrizione per Giulia Zanvettor trentenne di Belluno, della Calor Legno (avvocati Elisabetta Frate e Vanessa De Francesch) e per Luca Canzan, 50enne di Agordo (avvocato Massimo Moretti), progettista dell'intervento e direttore dei lavori dell'esbosco di un terreno in località Salvedella di Mel da dove sarebbe partito una partita di legname. Nella prossima udienza, fissata per il 28 marzo parleranno le difese e c'è già chi ha annunciato che chiederà l'assoluzione, rinunciando quindi alla prescrizione.

IL SISTEMA
Le indagini erano iniziate nel 2014 da un'intuizione dei forestali della stazione di Mel, poi diventati carabinieri forestali, che avevano effettuato delle verifiche su cantiere di esbosco a Salvedella nell'allora comune di Mel. Scoperchiarono il vaso di pandora da cui emersero addirittura legname conferito alle centrali di boschi che erano ancora tutti in piedi. Dall'analisi certosina dei vari lotti, in totale 22, è risultato che Graziano Slongo con Paola Facchin (che era socia della Bioenergia legalmente rappresentata da Slongo) che gestiva le pratiche della filiera utilizzavano documentazione tecnica come progetti di taglio e documentazione di taglio riguardanti quei cantieri boschivi per tracciare come da filiera corta materiale legnoso che arrivava da altre località. Proprio la provenienza da filiera corta garantiva un incentivo dallo Stato, a seguito procedura di controllo e ratifica effettuata a funzionari del Ministero delle politiche forestali. Veniva erogato poi da Gse (Gestore dei servizi energetici) alle centrali, che a loro volta lo riconosceva alle ditte. Nel processo sono finiti sotto la lente gli anni 2014, 2015 e 2016.

IL MECCANISMO


A far insospettire i carabinieri forestali anche la gara effettuata dal comune di Mel sull'incriminato lotto boschivo di Salvedella: la quarta ditta partecipante era stata tagliata fuori dalle altre tre aziende controllate tra di loro, in quanto avevano offerto un prezzo più alto. Poi le prima e la seconda classificate (delle 3 controllate) avevano rinunciato, con aggiudicazione alla terza, cioè alla Calorlegno. Nel processo durato anni con corpose indagini (10 faldoni) è stato ricostruito il meccanismo che avrebbe portato le ditte a introitare centinaia di migliaia di euro di inventivi non avendone diritto. Per essere da filiera corta e beneficiare dell'incentivo, il materiale legnoso deve provenire nel raggio di 70 chilometri rispetto all'impianto che utilizzava il materiale per produrre energia. Sarà il giudice a decidere se questo è stato rispettato.
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Il Gazzettino