TREVISO - «Sulla questione profughi i 95 sindaci della Marca si sono comportati come 95 emeriti imbecilli». Don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso, non usa...
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Intervenendo ieri al convegno «Donne, quelle che vedono nella nebbia», organizzato in casa Toniolo dalla Domus Nostra di Quinto, si è sfogato contro i primi cittadini trevigiani che negli ultimi mesi hanno scelto di sbarrare le porte alle richieste di accogliere immigrati: per un motivo o per un altro l'ospitalità offerta alle persone in fuga dal nord Africa e dal Medio Oriente è stata pari a zero.
Ma don Davide ne ha avute anche per il governo e per l'Europa. E neppure la Chiesa si è salvata. «Non è possibile mettersi a fare teoria davanti a richiedenti asilo, davanti a persone che hanno subito torture e che hanno ancora la pelle bruciata - mette in chiaro puntando il dito contro i sindaci della Marca - davanti a vulnerabilità e a povertà del genere bisogna sporcarsi le mani. Questa è la realtà».
Cosa che, a suo dire, i Comuni si sono guardati bene dal fare, a parte piccole eccezioni temporanee. «C'è l'idea del non è affar nostro - spiega - la stessa alla base della gara in atto, sempre tra Comuni, a togliere la residenza a chi è in difficoltà: non è affar nostro».
«Sui profughi bisogna assumersi la propria parte di responsabilità, senza rinunciare al pensiero critico e senza limitarsi alle polemiche - rincara la dose - e questo discorso, senza fare di tutta l'erba un fascio, vale anche per il mondo ecclesiale». A parte don Aldo Danieli di Paderno, infatti, pochi altri sacerdoti si sono fatti avanti per offrire un tetto ai profughi. E così la Caritas si è sostanzialmente ritrovata a gestire l'accoglienza degli immigrati da sola.
L'organizzazione riceve sì la quota prevista per ogni richiedente asilo ospitato. Ma niente altro. «Il paradosso è che gli organi di governo ci affidano il compito di accogliere gli immigrati - sottolinea il direttore - e poi inviano cinque o più persone solo per controllarci».
La tensione resta alta. La protesta organizzata mercoledì da 120 profughi ospiti del Ceis di Vittorio Veneto, arrivati a bloccare l'Alemagna, lo dimostra in modo plastico. «Ma davanti ai 400 immigrati morti nel naufragio di domenica vedo solo lacrime di coccodrillo. Mentre nel mar Mediterraneo aumentano i pesci carnivori perché trovano cibo in abbondanza - conclude duro don Davide - politici come la Merkel e gli altri non andranno in paradiso. E se ci andranno chiederò io il permesso a San Pietro di poterli cacciare via».
LA REPLICA
Difficile pensare che la reazione di Francesco Pietrobon, sindaco leghista di Paese, potesse essere diversa. «Io difendo i miei cittadini - mette in chiaro - non persone mandate qui senza nemmeno sapere chi siano». Pietrobon non accetta la reprimenda della Caritas. Lo scorso maggio era stato proprio lui a recarsi in prefettura, assieme ad alcuni residenti, per bloccare il trasferimento di 16 profughi in alcuni appartamenti del suo comune. E ci era riuscito.
«Mi sono preoccupato dei miei cittadini e me ne vanto - spiega - il governo porta avanti una politica dissennata sull'immigrazione e quindi è lo stesso governo che se ne deve assumere la responsabilità politica e gestionale. Troppo comodo decidere le cose e poi dire ai sindaci di arrangiarsi». «Non abbiamo strutture - conclude - e non abbiamo risorse per rispondere a un progetto calato dall'alto. Cosa possiamo fare? E ci sentiamo anche dare degli imbecilli. Quanti padri di famiglia sono in difficoltà qui da noi? Con il buonismo non si va da nessuna parte: se la Caritas non può andare avanti dica semplicemente che non ce la fa più. Nessuno la obbliga a ospitare profughi». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino