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MASER (TREVISO) - Più di 150 anni di storia. Una trattoria che ha tramandato la sua gestione di generazione in generazione per tutti questi anni. La Trattoria da Ismene a Maser ha ottenuto da poco la certificazione come locale storico della Marca, ma gli ostacoli per arrivare al traguardo non sono stati pochi. Ora il cuoco e proprietario è Fabio Martignago figlio di Rino, il precedente gestore e proprio lui ha cercato di arrivare all'inizio, alla nascita di questo locale. Attorno il 1955, però, si incendiò l'archivio del Comune e anche l'ultima speranza di tornare alle origini svanì. Ma grazie a un documento del 1815 che si salvò dalle fiamme si è potuta confermare l'esistenza già in quegli anni della trattoria da Ismene. Un documento del sindaco del tempo autorizzava, infatti, il signor Martignago a tenere aperta una bottiglia di vermut bianco all'osteria in via Cornuda 109, dove si trova la trattoria di Fabio. Un elemento importante per ottenere la certificazione. Ma non è finita qui.
LA FOTO
Serviva una vecchia foto che potesse attestarne la storicità.
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I SEGRETI
«Abbiamo clienti che vengono dai Castelli Romani per mangiare il nostro baccalà- afferma Fabio -uno di questi ha una catena di ipermercati e ci ha implorato di dargli la ricetta, anche offrendoci denaro, ma noi non la daremo mai a nessuno». Fabio Martignago, nonostante abbia studiato per fare questo lavoro, ha imparato soprattutto dalla mamma Mirella Bottin i segreti della cucina, sebbene lei a sua volta sbirciasse di nascosto dai suoi libri di scuola. «Ho imparato a rubare con gli occhi dalle cuoche precedenti: zia Ismene, la suocera Albina e nonna Maria» dice Mirella. Proprio a nonna Maria, nata nel 1889 e appassionata di cucina, risalgono i ricordi più antichi. Ma è stata la zia Ismene a portare all'apice la trattoria, che continua, per questo, a portare il suo nome. «Non sapeva cucinare ma il suo modo di fare coinvolgente riempiva il locale» dice Fabio. «Ci raccontano che nel periodo di guerra se arrivava una persona con i soldi giusti per mangiare un piatto di gnocchi al ragù lei non accettava quel denaro e diceva di portare a casa quei soldi per aiutare la famiglia. Quando arrivano queste persone, ci ringraziano ancora».
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Il Gazzettino