«La tattica giusta con i terroristi? Trattare non è segno di debolezza»

Arduino Paniccia
VENEZIA - «La fiammata jihadista con occupazione di territori in Siria e Iraq e gemmazione di cellule nel mondo mi sembra una corsa contro il tempo: gli strateghi del terrorismo...

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VENEZIA - «La fiammata jihadista con occupazione di territori in Siria e Iraq e gemmazione di cellule nel mondo mi sembra una corsa contro il tempo: gli strateghi del terrorismo vogliono sfruttare al massimo la fase finale della presidenza di Obama sapendo che nel 2016, se vinceranno i repubblicani, si potrebbe ritornare agli interventi militari preventivi dei tempi di Bush». Così Arduino Paniccia, direttore della scuola di competizione economica internazionale di Venezia, inquadra anche le spietate decapitazioni di ostaggi in atto dalla scorsa estate.


Americani e britannici sono assassinati in modo truculento mentre italiani e francesi vengono liberati o - se le cose vanno storte - fatti sparire nel nulla. Forse perché da una parte si pagano i riscatti (senza ammetterlo) e dall'altra no?

«Questa scelta è influenzata dalle opinioni pubbliche interne. Americani e inglesi apprezzano la durezza anche a costo di queste efferate esecuzioni. In altri Paesi non c'è un'analoga compattezza nell'apprezzare il sacrificio di vite umane per motivi di principio. I politici agiscono di conseguenza».

Trattare o tenere duro ad ogni costo: chi ha ragione?

«La trattativa presenta aspetti bizantini: da un lato combatti e dall'altro cedi. Ma una Repubblica come quella di Venezia che è durata un millennio e certo non era ultima per capacità strategica e diplomatica, spesso scese a patti coi suoi nemici. Non è detto che l'inflessibilità porti alla vittoria. E occorre pensarci bene prima di abbandonare gli ostaggi al loro destino».

Anche se i rapiti si cacciano nei guai da soli?

«Ci vorrebbero selezioni e controlli a monte per evitare che gente impreparata vada a fare cose che non sa fare e finisca prigioniera».

Come dicono le guide alpine le imprudenze sono spesso fatali.

«E non è solo questione di denaro: c'è chi rischia la vita per i salvataggi. Comunque, nel mondo asimmetrico e complicato in cui viviamo è necessario avere molti strumenti a disposizione; com'è, quando occorre, appunto anche la negoziazione».

Il terrorismo è aggressivo perché l'Occidente è debole nel combatterlo?

«Obama ha additato l'Isis come il maggior pericolo per la stabilità internazionale e una catastrofe per i diritti umani delle popolazioni locali non islamiche. L'impressione però è che al di là delle declamazioni si agisca fiaccamente e per procura, attraverso gruppi guerriglieri che in Siria l'Isis lo combattono per motivi di potere e settari».

Perché Obama fa questa scelta?


«Perché privilegia l'area Asia-Pacifico, mentre trascura il Mediterraneo, il Medio Oriente e l'Est Europa abbandonate ai giochi di potenze ritenute di secondo rango, come Russia, Turchia, Iran. C'è uno sguardo distaccato, direi un po' snobistico, anche verso l'Unione europea. L'America se volesse potrebbe schiacciare l'Isis, ma Obama non vuole rischiare di arrivare alla fine del suo ultimo mandato lasciando una guerra aperta. A differenza delle precedenti presidenze Usa, dalla guerra di Corea in poi, oggi la Casa Bianca preferisce stare sola. E non crede all'alleanza con l'Europa».

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Il Gazzettino