Trapiantato al fegato a due anni: «Prof lei mi ha salvato la vita, farò il medico anch'io, viene alla mia laurea?»

Il professor Umberto Cillo che vent'anni fa ha eseguito il trapianto sul bimbo
PADOVA - Si è presentato qualche giorno fa in reparto sorridendo. Bello, alto e con il fisico palestrato. Ha fermato Umberto Cillo e gli ha detto: «Buongiorno...

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PADOVA - Si è presentato qualche giorno fa in reparto sorridendo. Bello, alto e con il fisico palestrato. Ha fermato Umberto Cillo e gli ha detto: «Buongiorno professore. Si ricorda di me?». Quest'ultimo ha guardato il giovane, frugando nella memoria. «No, a dire il vero» ha risposto.


E l'interlocutore ha proseguito: «Nel 1999 quando avevo 2 anni lei mi ha trapiantato il fegato e come vede sto benissimo. La settimana prossima mi laureo in Medicina e vorrei invitarla». Uno squarcio, e il direttore della Chirurgia epato-bilio-pancreatica ha riavvolto il nastro, non nascondendo la commozione per quell'incontro inaspettato. «Certo che ci sarò», non ha esitato a dire.

LA SORPRESA
Una storia con un incipit drammatico e un epilogo lieto, che è lo stesso specialista a commentare. «Questo è un esempio della forza che ha il trapianto di fegato, che ridà vita e soprattutto di qualità, con i pazienti che non sono più tali, ma persone guarite. Anzi, con voglia di vivere maggiore perché hanno alle spalle un'esperienza drammatica, come questo ragazzone: vederlo oggi è stato il payback, la restituzione di una vita, stavolta la mia e quella dei miei collaboratori, che è un po' venduta agli altri, però con l'entusiasmo che deriva proprio da questi ritorni».
Venticinque anni fa due giovani genitori provenienti da un Paese dell'Est, nonostante fossero poverissimi, con l'aiuto della Croce Rossa erano riusciti a portare a Padova il loro bimbo. Nell'ospedale di provenienza la diagnosi era stata impietosa: atresia delle vie biliari congenita non operabile, che gli avrebbe lasciato forse un paio di settimane di vita, perché lì non facevano interventi così complicati. Invece a Padova c'è stata la svolta, con il trapianto avvenuto quasi subito grazie a uno split da donatore e poi i genitori hanno fatto fortuna qui avviando un'attività. «Il ragazzo ormai fa una terapia antirigetto blandissima e il suo organismo si è quasi "dimenticato" di avere un fegato nuovo ha spiegato ancora Cillo . Conduce una vita normale, fa sport e si laurea giusto, a 26 anni. Mi ha detto però che farà il chirurgo plastico, non delle vie biliari».

IL PARTICOLARE
Intanto per celebrare questi tre decenni, il 3 aprile alle 21 al Geox si terrà lo spettacolo "Summertime Choir. Inno alla donazione: 30 anni di trapianti di fegato a Padova", regia di Walter Ferrulli, con Jade Novah, Francesco Montori, Ana e Tosca (biglietti su ticketmaster).
E sempre tra le curiosità emerse nel corso della presentazione di questo percorso di successi per la sanità patavina, in cui come ha sottolineato ancora Cillo fondamentali sono stati all'inizio gli apporti dei professori Davide D'Amico (collaborava con Thomas Starzel, luminare mondiale) e Alvise Maffei, c'è il fatto che in sala operatoria durante il trapianto c'è una corsa contro il tempo, con i chirurghi vascolari che hanno 45 minuti per effettuare le suture. E coinvolti, oltre a quelli dell'equipe specifica, sono gli specialisti di Anestesia e rianimazione, Terapia intensiva, Anatomia patologica, Gastroenterologia e Medicina generale. Un'altra particolarità è rappresentata dal fatto che non sono più necessarie trasfusioni, tanto che vengono operati pure i testimoni di Geova. Nella prima Chirurgia epato-biliare d'Italia per numero di interventi lavorano 4 chirurghi, 2 anestesisti, 4 coordinatori e 6 infermieri.


«Sottolineo l'importanza della cultura della donazione ha evidenziato Giuseppe Dal Ben che ha consentito questo splendido cammino che dura da 34 anni, fatto da una grande squadra».
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Il Gazzettino