Tragedia del bus a Mestre. Gli operai eroi di Fincantieri che si sono buttati tra le fiamme: Godstime Erheneden e Boubacar Tourè, chi sono e cosa hanno fatto

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MESTRE - «Le mie scarpe, dove sono le mie scarpe?» La tragedia di Mestre ha il suo eroe scalzo. Si chiama Godstime Erheneden, ha 30 anni ed è nigeriano. Lui e il suo collega e compagno di stanza, il 27enne gambiano Boubacar Tourè, ieri sera si sono lanciati tra i rottami in fiamme dell'autobus precipitato dal cavalcavia della Vempa.

Entrambi sono lavoratori della Fincantieri in trasferta: il primo vive in Italia da sette anni, il secondo da una decina e dopo aver lavorato a lungo ad Ancona, a luglio, è stato trasferito a Venezia. La loro era una serata di riposo, quando quel boato devastante ha squarciato la loro quiete. «Ho sentito un rumore forte - racconta Godstime - mi sono affacciato alla finestra e ho visto le fiamme. Da lì sono riuscito a capire che si trattava di un autobus. Buba (il suo amico, ndr) stava cucinando la cena, gli ho detto "guarda che è caduto un autobus". E senza pensarci siamo scesi in strada». La palazzina in cui risiedono (alloggio di servizio fornito da Fincantieri) è a due passi da via della Pila, dove appunto è caduto la navetta di La Linea che collega piazzale Roma al campeggio Hu camping in town (ex Jolly) di Marghera. A bordo, una comitiva di turisti con diversi bambini.

I due operai eroi: tra le fiamme per salvare i feriti

«Quando siamo entrati - raccontano - abbiamo visto subito l'autista, era morto. Mi sono caricato sulle spalle una donna, poi ho portato fuori un uomo». A quel punto però Godstime si è ributtato tra le fiamme.

 

La donna gridava "my daughter, my daughter" e mi sono lanciato. Ho visto questa bambina, avrà avuto forse due anni. Ho un bimbo di un anno e dieci mesi, poteva essere lui erano grandi uguali

 

«Mi è sembrato di stringere mio figlio tra le braccia. È stato tremendo, non so se sia sopravvissuta. Io credo fosse viva, ma quando sono arrivati i soccorsi ci hanno allontanati subito». Boubacar, invece, è diventato padre da appena tre giorni. «Ho tirato fuori tre o quattro persone, non ricordo bene ancora. E un cane».

Vedi qui? Le mie mani e i miei vestiti sono ancora ricoperti di sangue. Ho provato anche a spegnere il fuoco, ma non ce l'ho fatta.

«Non riesco a credere a quello che ho visto - aggiunge Godstime - tutti quei corpi, tutti quei morti. Non so dirvi quanto fossero, erano tanti. E poi le urla, i pianti. Sono ancora nella mia testa, ce li ho ancora davanti agli occhi».


Le scarpe perse e quel cruccio


Durante le operazioni del salvataggio, Godstime ha perso le sue scarpe. Sono rimaste dentro l'autobus. Seduto a bordo strada, si toglie una a una le schegge di vetro infilate sotto alla piante dei piedi. «Adesso come faccio? Domani devo andare a Palermo, dalla mia famiglia. Non mi lasciano andare a prenderle. Potete aiutarmi? Non posso mettermi in viaggio senza, quando potrò recuperarle?».

 

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Il Gazzettino