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Una strage è una strage. Non importa se la morte arriva con il contagocce, se c'è uno stillicidio di vite bruciate o sono tante in un colpo solo. Eppure quasi non ci facciamo più caso se non c'è un numero che scateni l'orrore. E allora scriviamolo, questo numero: 14. Sono 14 i morti su un piccolo, insignificante tratto di strada che ha solo il difetto di collegare l'Ovest con l'Est dell'Europa. Avventurarsi sui 35 chilometri tra San Donà di Piave e Latisana richiede coraggio e fiducia nel destino. È sempre stato così, ma adesso la situazione è peggiorata irrimediabilmente, ed è diventata un'emergenza che deve essere affrontata subito da tutti coloro che hanno voce in capitolo. Quando si tratta di infrastrutture, ormai lo sappiamo, l'Italia arriva sempre in ritardo. La terza corsia tra Milano e Venezia è stata terminata negli anni 90, nonostante già dall'inizio degli anni 80 fosse evidente che l'esplosione dell'economia e dei trasporti rendesse irrisoria quella doppia fettuccia. Tra Bergamo e Milano ne hanno fatta una quarta - ed oggi è già piena - perché è chiaro che un'area metropolitana come quella non può prescindere da collegamenti in grado di accogliere milioni di persone.
A Nordest, invece, si è cominciato a discutere di terza corsia da Venezia verso Udine e Tarvisio solo dopo il Duemila, quando da anni si sapeva che l'Unione si sarebbe aperta a Est facendo diventare il Friuli-Venezia Giulia il baricentro e la porta della nuova Europa. Ve le ricordate, le discussioni e le analisi sul Corridoio Lisbona-Kiev? Roba per addetti ai lavori, nulla che abbia mai sollecitato le folle. Risultato: nel 2021 abbiamo ancora i lavori in corso tra Mestre e Palmanova.
Tutto questo è assurdo. Inaccettabile nel 2021 quando ormai anche i più visionari non possono continuare a immaginare un mondo dove si muovono solo le idee e non le merci e le persone. Per due anni, complice la pandemia, ci siamo illusi che nulla sarebbe stato come prima. Ci siamo sbagliati: sarà più di prima. E l'illusione che i grandi centri di logistica - alla Amazon, per intenderci - avrebbero tolto dalle strade le auto di chi andava a farsi i giri dei negozi per comprare ciò di cui aveva bisogno, è svanita: perché comunque milioni di furgoni fanno il percorso inverso, portando le merci fino a domicilio. Senza contare i milioni di camion - li vediamo tutti i giorni - con targhe ungheresi, russe, ceche, serbe, romene: c'è chi pensa che si ridurranno nei prossimi anni?
Poi c'è il traffico locale, perché tale è quello delle centinaia di migliaia di persone che vivono a 50 chilometri di distanza da dove lavorano lungo quella che è ormai una tangenziale che connette la grande area metropolitana da Udine a Vicenza, passando per Mestre, Treviso e Padova. Un agglomerato che non ha soluzioni di continuità, dove milioni di persone si spostano quotidianamente come avviene a Milano, Roma e in tutte le altre aree metropolitane del mondo. Peccato che quest'area metropolitana non possieda infrastrutture adeguate, e quelle che ha le paga a prezzi carissimi. Finché il costo è in euro, pazienza (si fa per dire). Quando però il costo è in vite umane, è inaccettabile, perché non c'è un prezzo per una vita.
Questa allora è un'emergenza, che non può più essere ignorata. Ed è un'emergenza nazionale, perché riguarda la porta d'Europa. Deve essere affrontata immediatamente a tutti i livelli: non è concepibile e tollerabile che un'arteria così determinante resti incompleta. È doveroso agire ora, immediatamente: così, con i tempi italiani, forse almeno i nostri figli potranno risparmiarsi la roulette russa.
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Il Gazzettino