TEOLO - Nove anni di reclusione. É la pesante sentenza di condanna pronunciata dal gup Domenica Gambardella nei confronti del 46enne cingalese Mervin Maxi Thushara...
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LA PERIZIA
Prima della discussione il maresciallo dei carabinieri Lorenzo Taramelli, del Reparto investigazioni scientifiche di Parma, ha illustrato la perizia tecnica sul fucile disposta dal giudice chiarendo che i sette colpi calibro 9 esplosi dal fucile semiautomatico Flobert erano stati sparati da distanza ravvicinata. E che la ragazza ha rischiato la vita. Secondo il perito «la distanza intercorsa tra padre e figlia nel momento in cui la ragazza è stata attinta dai due colpi, uno al volto, l'altro al braccio, era di non più di un metro e mezzo». E ancora: «I pallini possedevano un'elevata velocità tale da perforare la cute, entrare nei tessuti molli e frantumare le ossa facciali».
L'arma apparteneva all'imprenditore Enrico Roncato, che si è costituito anch'egli parte civile. Difeso dall'avvocato Domenico Zanon, è riuscito ad ottenere dalla Prefettura l'archiviazione del procedimento amministrativo di divieto di detenzione di fucili e pistole. Sulla scorta della restituzione del porto d'armi il giudice ha potuto disporre il dissequestro del fucile semiautomatico, poi riconsegnato al legittimo proprietario. Roncato ha ottenuto pure un risarcimento di 3.000 euro che devolverà in beneficenza al Centro Antiviolenza di Padova.
IL FUCILE DA CACCIA
Era stato Naththandige Fernando, che all'epoca lavorava come domestico nella sua villa, a rubare l'arma per poi recarsi nella casa dove la figlia lavorava come cameriera. Il cingalese era in possesso delle chiavi di tutta l'abitazione e aveva prelevato il fucile da caccia all'insaputa dei proprietari. Si era infilato in macchina e aveva guidato fino a Monteortone per raggiungere la villa di via Vicinale dove si trovava la figlia. In preda alla furia le aveva sparato sette colpi in faccia, poi aveva rivolto l'arma verso di sé. Ma un solo colpo non lo aveva ucciso, allora aveva provato ad impiccarsi, ma inutilmente. Non era riuscito a uccidere la figlia e neppure a togliersi la vita. Naththandige Fernando era geloso della ragazza: non voleva andasse in sposa a un connazionale residente nei paesi arabi e voleva lavare con il sangue quella relazione sentimentale. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino