Cercò di uccidere la figlia a fucilate: non accettava il suo fidanzamento. Condannato a 9 anni

La villa di Monteortone dove la ragazza lavorava come domestica
TEOLO - Nove anni di reclusione. É la pesante sentenza di condanna pronunciata dal gup Domenica Gambardella nei confronti del 46enne cingalese Mervin Maxi Thushara...

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TEOLO - Nove anni di reclusione. É la pesante sentenza di condanna pronunciata dal gup Domenica Gambardella nei confronti del 46enne cingalese Mervin Maxi Thushara Naththandige Fernando che il 30 luglio dell'anno scorso aveva imbracciato un fucile da caccia facendo fuoco contro la figlia Chalani. Il giudice è andato oltre le richieste della pubblica accusa, rappresentata dal pm Roberto D'Angelo, che aveva chiesto otto anni e quattro mesi. L'imputato, che doveva rispondere del furto dell'arma e di violazione di domicilio oltre che del tentato omicidio, è stato condannato a risarcire la congiunta con una provvisionale di 675 mila euro. L'esatta entità del danno dovrà poi essere stabilita in sede civile. Naththandige Fernando, che ha preso parte al processo in videoconferenza dal Due Palazzi (gli avvocati e il pm, tutti dotati di mascherine, erano invece in tribunale) sarà trasferito nelle prossime ore alla casa circondariale di Trento per ragioni di sicurezza.


LA PERIZIA
Prima della discussione il maresciallo dei carabinieri Lorenzo Taramelli, del Reparto investigazioni scientifiche di Parma, ha illustrato la perizia tecnica sul fucile disposta dal giudice chiarendo che i sette colpi calibro 9 esplosi dal fucile semiautomatico Flobert erano stati sparati da distanza ravvicinata. E che la ragazza ha rischiato la vita. Secondo il perito «la distanza intercorsa tra padre e figlia nel momento in cui la ragazza è stata attinta dai due colpi, uno al volto, l'altro al braccio, era di non più di un metro e mezzo». E ancora: «I pallini possedevano un'elevata velocità tale da perforare la cute, entrare nei tessuti molli e frantumare le ossa facciali».
L'arma apparteneva all'imprenditore Enrico Roncato, che si è costituito anch'egli parte civile. Difeso dall'avvocato Domenico Zanon, è riuscito ad ottenere dalla Prefettura l'archiviazione del procedimento amministrativo di divieto di detenzione di fucili e pistole. Sulla scorta della restituzione del porto d'armi il giudice ha potuto disporre il dissequestro del fucile semiautomatico, poi riconsegnato al legittimo proprietario. Roncato ha ottenuto pure un risarcimento di 3.000 euro che devolverà in beneficenza al Centro Antiviolenza di Padova.

IL FUCILE DA CACCIA

Era stato Naththandige Fernando, che all'epoca lavorava come domestico nella sua villa, a rubare l'arma per poi recarsi nella casa dove la figlia lavorava come cameriera. Il cingalese era in possesso delle chiavi di tutta l'abitazione e aveva prelevato il fucile da caccia all'insaputa dei proprietari. Si era infilato in macchina e aveva guidato fino a Monteortone per raggiungere la villa di via Vicinale dove si trovava la figlia. In preda alla furia le aveva sparato sette colpi in faccia, poi aveva rivolto l'arma verso di sé. Ma un solo colpo non lo aveva ucciso, allora aveva provato ad impiccarsi, ma inutilmente. Non era riuscito a uccidere la figlia e neppure a togliersi la vita. Naththandige Fernando era geloso della ragazza: non voleva andasse in sposa a un connazionale residente nei paesi arabi e voleva lavare con il sangue quella relazione sentimentale. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino