Taser al via, le regole d'ingaggio: prima scarica a vuoto, poi i dardi

Presentazione del taser
PADOVA - Pronti, via. Da ieri gli agenti delle Volanti della polizia di Padova oltre alla pistola hanno in dotazione anche il taser. Sono 10 i poliziotti che hanno seguito il...

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PADOVA - Pronti, via. Da ieri gli agenti delle Volanti della polizia di Padova oltre alla pistola hanno in dotazione anche il taser. Sono 10 i poliziotti che hanno seguito il corso di formazione al Centro nazionale addestramento di tiro di Nettuno, in provincia di Roma, e che, dunque, sono autorizzati a utilizzare la pistola elettrica di color giallo vivo, quasi evidenziatore, che da ieri mattina fa bella mostra di sé nella fondina degli agenti che pattugliano le strade della città del Santo. Due i nuovi strumenti in dotazione alla polizia di Padova, che partecipa alla sperimentazione di tre mesi, voluta dal ministero dell'Interno, assieme a Milano, Torino, Genova, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Caserta, Napoli, Brindisi, Catania e Palermo. 


LA PRESENTAZIONE A presentare la novità, ieri mattina, il questore di Padova, Paolo Fassari, assieme alla dirigente delle Volanti, Michela Bochicchio, diretta responsabile degli agenti che lo utilizzeranno. «Il taser ha detto Fassari è un'arma che si pone in una posizione intermedia tra le mani nude e la pistola d'ordinanza. Non nasce certamente per fare le carezze ai criminali, ma per bloccare per qualche secondo la mobilità del soggetto che si scaglia contro i nostri uomini che, per una questione di differenza di mole o di numero, non potrebbero sostenere l'assalto. I nostri agenti, lo dicono le cronache, hanno spesso avuto a che fare con malintenzionati dalla stazza enorme e i casi di ferimenti sono molteplici». Il questore evidenzia con forza e più volte, viste le polemiche su questa sperimentazione, che non si tratta di un giocattolo, ma di un'arma il cui utilizzo è regolato da norme severe. Il poliziotto, infatti, non potrà sparare i dardi elettrificati così, d'istinto. L'utilizzo del taser sarà preceduto da una manovra di avvertimento che consiste in cinque passaggi. 

I CINQUE PASSAGGI Il primo prevede di mostrare l'arma ancora all'interno del fodero, che è sistemato dalla parte opposta rispetto a quello che contiene la pistola d'ordinanza. Nel caso in cui il soggetto sotto tiro non dovesse arrendersi, il poliziotto deve estrarre il taser e mostrarlo nella sua interezza. Se la persona coinvolta ancora non dovesse rendersi conto di quello che ha davanti, l'agente può dare una scarica di avvertimento a vuoto che produce un rumore forte e inconfondibile. Se il malvivente non si vuole arrendere, a quel punto il poliziotto può puntarlo col mirino laser e - solo a quel punto e se attaccato - sparare contro il suo antagonista i dardi elettrificati, collegati alla pistola con fili di rame: la scarica elettrica emessa dal taser è di 5-6 secondi e consente di bloccare una persona giusto il tempo per avvicinarsi in sicurezza, renderla innocua e ammanettarla.


«Le procedure sono fatte apposta per evitare sfoghi di forza istintivi e per arrivare per gradi alla soluzione più drastica - evidenzia il questore Fassari -. Non voglio fare il fascista o l'irragionevole, ma dopo quando detto, è chiaro: se una persona, dopo questi avvertimenti, continua ad avere un atteggiamento ostile e aggressivo, deve mettere in conto che gli può arrivare una scarica elettrica addosso». Il questore continua: «È uno strumento letale? Si può morire se colpiti? Non sono un medico e dunque io non rispondo a domande di questo genere. Dico solo cose che conosco e di mia competenza, ovvero che Padova sta cominciando una sperimentazione, che non è una strada senza ritorno. Tra tre mesi chi di dovere valuterà se continuare oppure no. Inoltre il nostro personale è stato formato per utilizzare quest'arma nella maniera corretta e non per sfogare degli istinti. Per sparare con il taser bisogna essere a una certa distanza, sette metri e mezzo, e le procedure sono molto rigide. A chi dice che all'estero ci sono stati casi di persone colpite col taser dai poliziotti, mentre erano già ammanettate, rispondo che queste azioni si chiamano tortura e che non appartengono al nostro modo di lavorare. I nostri uomini sono addestrati a valutare ciò che è necessario fare e lo fanno rispettando tutte le regole previste».
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Il Gazzettino