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PORDENONE E UDINE - I focolai familiari, anche in Friuli Venezia Giulia, rappresentano dal 70 al 75 per cento di quelli censiti sul territorio. Ma non c’è modo di spegnerli. Anzi, ci sarebbe ed è anche codificato, ma nei fatti mancano risorse, strutture e capacità di agire tempestivamente per rispettare la regola del tracciamento: isolamento, tamponi, monitoraggio. Ed è così che il contagio, seppur in diminuzione nei contesti allargati, in casa non si ferma.
IL NODO
I contatti stretti di una persona risultata positiva devono essere messi in isolamento. Dieci giorni con un test negativo d’uscita o 14 giorni senza il tampone, prorogabili a 21 dal Dipartimento di prevenzione nel caso in cui il primo paziente sia ancora positivo e a contatto con un familiare. Il tampone, invece, non è la prassi. O meglio, lo sarebbe, ma non è raro che “salti”. Lo confermano anche i medici di base che operano in provincia di Pordenone, che spesso si sostituiscono al sistema della prevenzione - oberato di lavoro ormai da mesi - ed effettuano in autonomia una sorta di tracciamento. «Per i tamponi sono necessarie attese anche di 10-12 giorni», è la testimonianza di molti professionisti. Ritardi ormai cronici, piccole odissee raccontate a più riprese - e anche su queste pagine - da diversi cittadini che hanno scelto di rivivere a parole lunghi giorni fatti di chiamate e rincorse telefoniche tra un centralino e l’altro. Ma non è l’unico problema, e non è nemmeno il più serio. Ci sono casi, infatti, in cui anche il contatto stretto (e convivente) di un paziente positivo il tampone non lo riceve affatto. Viene richiesto e decretato solamente l’isolamento, che nella maggior parte dei casi avviene sotto lo stesso tetto del cittadino positivo. E al termine della quarantena di 14 o 21 giorni, scatta il “liberi tutti”, con una “stortura” che espone il contatto stretto e il resto della socialità: capita infatti che il paziente originario nel frattempo sia ancora positivo e che possa - anche se l’eventualità non è frequente - contagiare un familiare che però non è più costretto alla quarantena. Anche per questo i medici di base, con in testa l’Ordine, chiedono di essere maggiormente coinvolti: «I cittadini sono arrabbiati, più volte abbiamo richiesto di poter aumentare la nostra capacità di sorveglianza».
LA CONFERMA
Nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità, in Fvg si è passati da un valore del 92 per cento a uno del’88,9 alla voce “casi senza una regolare indagine epidemiologica”.
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Il Gazzettino