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VENEZIA - Maria Khurasani è veneziana da cinque anni, in laguna si è stabilita dopo aver lasciato la sua terra, l'Afghanistan, e lavora all'Orient Experience, dove è socia. La catena creata da Hamed Ahmadi, dove lavorano decine di persone da tutto il mondo, porta con sé un'altra storia di paura, alla luce di quanto sta accadendo in Afghanistan. Là dove anche ieri, 17 agosto, Zahra, la sorella di Hamed, imprenditrice nella ristorazione e attivista per i diritti umani, ha visto sfuggire di mano, a pochi metri dal traguardo, la seconda possibilità di tornare in Italia.
IL RACCONTO
La mamma di Maria, quattro fratelli, le rispettive famiglie e soprattutto quattro nipotine (12, 14, 16 e 23 anni) oggi rischiano la vita nella terra preda dei talebani. La voce della donna è ferma, lascia trapelare timori, chiaro, ma a stupire è la lucidità con cui racconta quanto sta accadendo: «Sono rinchiusi in casa, ieri e oggi sono passati i talebani, ma non hanno oltrepassato le cinque porte che dividono l'appartamento dall'esterno. I miei familiari le hanno chiuse tutte. Stamattina (ieri, ndr), li ho sentiti, mi hanno detto che hanno preso il giardiniere del condominio, i talebani stanno facendo la lista per sapere chi c'è, che lavoro faceva, dove abitano, le etnie». Lunedì i talebani sono entrati in un'abitazione vicina: «Chi abita lì non c'era, erano scappati, ora dove abita la mia famiglia stanno mappando la zona, mia nipote racconta che dalla finestra vede che osservano le targhe, guardano le macchine e quando trovano qualcosa di sospetto aprono tutto».
La convivenza con chi di civile in passato ha dimostrato di non aver proprio nulla a che fare è terrificante: «So che le mie nipoti stanno cercando un posto dove nascondersi, perché nel caso i talebani dovessero far irruzione, il rischio è che si ripeta quello che è accaduto due settimane fa nel nord del Paese, cioè che portino via le ragazze per farle schiave.
A rischiare di più sono le donne. Maria lo sa bene: «Sappiamo che non è possibile salvare tutti, ma le donne sole, le ragazze, bisogna fare qualcosa per loro le più piccole ancora non sanno nulla della vita, ecco, magari cercare di far uscire queste persone il prima possibile». Poi l'appello: «La speranza è che ci sia un accordo sul non utilizzo della violenza, i talebani non cambiano. Il popolo è solo con loro. Il minimo che si possa fare è aiutare la gente a scappare da Kabul, il massimo è qualcosa di concreto a livello governativo. L'arrivo dei talebani non è una cosa improvvisa, l'auspicio è che i governi cerchino di trovare un accordo sul non utilizzo della violenza. Ho scritto a Farnesina, ministero degli Esteri e ad alcune associazioni, per ora non ho risposte».
NIENTE RITORNO
L'angoscia è la stessa di Hamed Ahmadi. Per sua sorella si è già mossa anche la Regione Veneto. «Oggi (ieri, ndr) abbiamo avuto una leggera speranza quando il Governo ha contattato mia sorella dicendole che c'era possibilità di arrivare in Italia se avesse raggiunto la zona militare dell'aeroporto, ma lei è stata fermata da un checkpoint talebano a 50 metri dal posto da raggiungere», dice l'imprenditore. L'odissea non è finita. «L'ho sentita preoccupata e mi ha detto che stava andando in una zona protetta dagli inglesi. La priorità adesso è stare al sicuro, poi c'è la partenza per cui va trovato un accordo con i talebani. Certo è che più passano i giorni più le possibilità si restringono».
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Il Gazzettino