Travolto da un vagone merci e lasciato esamine lungo i binari, la capotreno risarcisce la famiglia di Marco

Marco Cestaro
VILLORBA - Ha risarcito i familiari di Marco Cestaro, il 17enne morto suicida sotto al treno il 13 gennaio del 2017. E ieri, 9 gennaio, la capotreno ha scelto la misura...

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VILLORBA - Ha risarcito i familiari di Marco Cestaro, il 17enne morto suicida sotto al treno il 13 gennaio del 2017. E ieri, 9 gennaio, la capotreno ha scelto la misura alternativa della messa alla prova. Va verso la definizione il processo alla capotreno M . R. C., 40 anni di Povoletto (Udine) accusata di omissione di soccorso. Secondo la Procura di Treviso, la donna, con il suo comportamento avrebbe determinato un ritardo nell'arrivo dei sanitari contribuendo così al decesso del ragazzo. La 40enne, che era a bordo di un convoglio transitato dopo l'investimento, avvistò il giovane agonizzante vicino alla stazione di Lancenigo. Il ragazzo era stato travolto da un treno merci passato poco prima. È alla sbarra per omissione di soccorso perché, secondo l'accusa, si limitò ad avvertire del fatto la centrale del compartimento ferroviario, senza accorgersi che era ancora in vita e senza prestargli la necessaria assistenza fino all'arrivo dei soccorritori, determinando così «un ritardo dei soccorsi di 39 minuti». Per la Procura, invece, avrebbe dovuto chiamare il 118 e rimanere sul posto anziché proseguire il viaggio sul regionale Venezia-Udine. La difesa, affidata all'avvocato Andrea Castiglione, ha sempre sostenuto che la capotreno ha eseguito gli ordini ricevuti. Era stata la centrale infatti ad avvertire la polizia attivando il protocollo dei soccorsi.

LA SCELTA
All'udienza di ieri, in tribunale a Treviso, il legale ha chiesto la messa alla prova, avendo già risarcito i genitori del 17enne. L'udienza è stata rinviata a giugno per determinare il programma della misura alternativa. Questo le permetterà, una volta terminato con esito positivo il programma di lavori socialmente utili, di veder estinto il reato. «La scelta della messa alla prova non equivale a un'ammissione di colpevolezza - puntualizza il suo legale -. È stata una decisione processuale per concludere una vicenda umana e giudiziaria molto dolorosa».

LA VICENDA


La vicenda è intricata. Si indagò subito per omissione di soccorso ma la madre, sostenendo che il figlio fosse stato vittima di un pestaggio da parte di un branco e lasciato lungo i binari, riuscì a far aprire un nuovo filone d'indagine per omicidio. Due fascicoli paralleli e indipendenti. Per il primo, quello per l'omissione di soccorso a carico del personale ferroviario, gli inquirenti avevano chiesto l'archiviazione. A cui la famiglia si era però opposta ottenendo dal gip, nel marzo 2021, il rigetto e la disposizione di nuovi accertamenti, sfociati nel processo alla capotreno. Sulla natura del gesto, invece, il pm aveva chiuso il caso come un atto di autolesionismo, dopo aver vagliato le altre ipotesi.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino