Mamma si getta dal ponte con il bimbo. lI papà: «Non immaginavo che il mio piccolo fosse in pericolo»

Suicidio a Vidor
VEDELAGO - L’automobile bianca che non accosta davanti a casa, il campanello che non suona. Un ritardo che si fa sempre più lungo. Il telefonino che resta muto e...

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VEDELAGO - L’automobile bianca che non accosta davanti a casa, il campanello che non suona. Un ritardo che si fa sempre più lungo. Il telefonino che resta muto e un’angoscia che comincia a mordere. Quel dubbio strisciante: «Sarà successo qualcosa? Forse un incidente, forse un contrattempo. Forse qualcosa di peggiore».

A casa Bandiera la cena in famiglia che doveva essere preludio di una giornata da passare al mare si è rapidamente trasformata in paura, per poi lasciare il posto all’orrore. Quello dei genitori e della sorella di Margherita, ma soprattutto quello del marito Cristian. «Non riusciamo a contattare mia moglie, doveva arrivare dai miei suoceri. Ho paura che sia capitato qualcosa» ha spiegato lui stesso sabato sera nella prima telefonata giunta ai carabinieri di Castelfranco. Da quel momento per il 34enne si è aperto un baratro d’angoscia che lo ha tenuto col fiato sospeso fino a quando il corpo del suo bambino è stato issato dal greto del Piave. Ferito, fiaccato dal freddo, con una gamba rotta, ma vivo. La gioia è però stata travolta dal dolore per la morte della moglie e dalla consapevolezza che quella tragedia non era il frutto di un incidente, ma di un atto volontario. Atto che avrebbe potuto strappargli via in un solo colpo la donna che amava e il suo unico figlio.

Mamma suicida a Vidor. Si era licenziata per il figlio, quel post premonitore su Facebook

SUL POSTO

Mobilitati i carabinieri, sono stati gli stessi parenti a uscire di casa per andare a cercare Margherita. La funesta intuizione di andare a controllare sul ponte di Vidor è stata della sorella, che attorno alle 21 ha trovato la Lancia Y della 31enne parcheggiata a una manciata di metri dal Piave. «Venite qui vi prego!» è stato il secondo appello lanciato al 112, che stavolta ha agganciato i militari montebellunesi. Con loro è arrivato in via Erizzo anche Cristian. Paralizzato dal terrore. All’appello non mancava solo la moglie, mancava anche il loro piccolo. La strenua spinta della speranza li aveva fatti controllare subito nell’abitacolo dell’auto, ma del bimbo lì dentro non vi era traccia. La paura diventa l’ombra della più atroce delle certezze: «Margherita sta male, potrebbe essersi buttata». La frenesia dei soccorritori è al limite massimo. Dalla sponda non si vedono corpi. Forse la corrente li ha trascinati via, forse invece non sono lì. Ma dove allora? Le squadre dei vigili del fuoco si calano per quasi venti metri. Anche due carabinieri raggiungono il greto.

IL RITROVAMENTO

L’acqua è gelida, è ormai buio, le temperature calano. Il ponte viene chiuso al traffico. La scena straziante dei parenti che assistono alle ricerche si protrae. «Trovateli, trovatelo» ripete il papà del bambino. A tarda sera li individuano. Per Margherita non c’è nulla da fare. In lacrime tutti temono che anche il piccolo non ce l’abbia fatta. Invece la speranza irrompe con la voce di un soccorritore: «Respira!». Si parte alla volta del Ca’ Foncello, Cristian segue il suo bimbo e per l’intera domenica resta al suo capezzale, fino a quando viene prima dichiarato fuori pericolo di vita e poi trasferito nel reparto di pediatria. Travolto dal dramma, si è limitato a confidare agli amici più stretti: «Non potevo immaginare che il piccolo fosse in pericolo. Ora lei spero abbia trovato la pace». 

 

 

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Il Gazzettino