L'omicida e i pusher che spacciavano in carcere grazie all'aiuto di mogli e sorelle

L'omicida e i pusher che spacciavano in carcere
PADOVA - Un omicida e due spacciatori. Sono i protagonisti dell'ultima indagine della Procura sul redditizio mercato di stupefacenti nei reparti e tra le celle della casa di...

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PADOVA - Un omicida e due spacciatori. Sono i protagonisti dell'ultima indagine della Procura sul redditizio mercato di stupefacenti nei reparti e tra le celle della casa di reclusione Due Palazzi. Tre detenuti che avevano trovato il modo di gestire la compravendita di droga coinvolgendo compagne, sorelle, amiche ed altri familiari. Un articolato sistema che avrebbe dovuto scongiurare qualsiasi rischio: con il giro di pagamenti attraverso carte Western Union o mediante MoneyGram la provenienza illecita del denaro non avrebbe mai dovuto essere scoperta. In realtà gli agenti del nucleo investigativo della polizia penitenziaria, coordinati dal pubblico ministero Benedetto Roberti, sono riusciti ad inchiodare i tre detenuti alle loro responsabilità ricostruendo i vari passaggi delle somme di denaro.


IL RICICLAGGIO


Alex Gianduzzo, 45 anni, di San Donà di Piave, in carcere per omicidio, Mounir Jendoubi, 33enne tunisino, con residenza in città, e Nejme Eddine Ben Bech Ben Tiwa, tunisino 46enne domiciliato a Verona, dovranno rispondere di spaccio continuato di sostanze stupefacenti in concorso. Nell'avviso di conclusione indagini notificato nei giorni scorsi dalla Procura si ritrovano in compagnia di uno stuolo di familiari: sono infatti accusati di riciclaggio Afef Ben Ammar, 48 anni, Lamia Ben Ammar, 49 anni, e Farida Bent Bechir Bentiwaa, 61 anni, rispettivamente moglie, cognata e sorella di Ben Tiwa, Sara Martinati, 26 anni, padovana, moglie di Jendoubi, Tiziana Gianduzzo, 57 anni, di Selvazzano, e Silvia Nikolic, 44 anni, di Monfalcone, rispettivamente sorella e compagna di Alex Gianduzzo. Secondo l'accusa, nel periodo compreso tra il 2017 e il 2020, avrebbero tutte fatto accreditare su carte loro intestate o mediante MoneyGram decine di migliaia di euro versati da parenti e familiari di altri detenuti, destinatari delle forniture di cocaina, hashish, subxone e cannabinoidi sintetici. Denaro che poi in molti casi tornava tranquillamente nella disponibilità del terzetto: Gianduzzo e i due tunisini riuscivano ad acquistare la droga con facilità, servendosi di altri detenuti che godevano di permessi premio del tribunale di Sorveglianza. Alex Gianduzzo dovrà difendersi anche dall'accusa di estorsione per avere ripetutamente picchiato e minacciato un altro carcerato, al solo scopo di ottenere da quest'ultimo somme di denaro. Orante Di Salvatore - questo il nome della vittima - avrebbe ripetutamente obbligato i propri genitori ad effettuare versamenti di soldi con vaglia postali intestati a persone di cui Gianduzzo forniva le generalità. Tra l'agosto 2018 ed il dicembre 2019 gli avrebbe versato tra i 6 e i 7000 euro. Poi si sarebbe deciso a vuotare il sacco e denunciare i ripetuti tentativi estorsivi. Gianduzzo avrebbe utilizzato il denaro ottenuto con pestaggi e minacce per l'acquisto dello stupefacente da introdurre nella casa di reclusione. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino