Per giorni rifiutarono i soccorsi in elicottero, mai pagato il conto da 9mila euro

Le immagini del soccorso del 2019
CORTINA - Sono già passati tre anni ma è impossibile non ricordare i soccorsi rifiutati, per tre giorni consecutivi, da due escursionisti spagnoli bloccati sulle Tre...

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CORTINA - Sono già passati tre anni ma è impossibile non ricordare i soccorsi rifiutati, per tre giorni consecutivi, da due escursionisti spagnoli bloccati sulle Tre Cime di Lavaredo, soccorsi poi accettati ed andati a buon fine. Anche questi rientrano nella casistica che vede quasi uno straniero su due non saldare la fattura. Anche loro non hanno pagato il conto, 9 mila euro più euro meno, e per evitare problemi hanno deciso, per ora, di scalare altre montagne. E’ quanto raccontano di quella vicenda dell’estate 2019, «si la multa è arrivata ma non l’ho pagata, è arrivata in tre invii distinti per 3mila euro ciascuno, una a me, una alla mia compagna e una a mia madre, quest’anno ho arrampicato sulle Alpi Francesi». Meglio cambiare aria avrà pensato l’alpinista spagnolo che era diventato, assieme alla compagna, esempio da non imitare in quell’avventura fortunatamente finita bene.

L’EPISODIO
Facciamo un salto indietro di tre anni. Primi di settembre, nel cuore della notte il cellulare del capostazione del Soccorso alpino di Auronzo, che è di turno, suona, il 118 gli chiede di prendere contatto con due alpinisti spagnoli bloccati mentre provano a scalare sulle Tre Cime di Lavaredo. E’ stato solo l’inizio di una tre giorni di allerta per i soccorritori di Auronzo e Pusteria che invano hanno più volte provato ad aiutare due spagnoli in difficoltà. La coppia aveva rifiutato un primo recupero dell’elicottero domenica mattina e lo ha fatto di nuovo lunedì, trascorrendo 72 ore in parete e due notti all’addiaccio. Ma non era la prima volta che finivano nei guai: il martedì prima erano stati soccorsi al rientro dalla “normale” che porta alla Cima Grande. Il 45enne, la compagna 36enne e i genitori di lui erano da qualche giorno al rifugio Auronzo, con due camper. Un mattino prendono l’attrezzatura ed attaccano la via Cassin ma quando a sera inoltrata la madre non li vede rientrare lancia l’allarme. Da qual momento per i soccorritori è un continuo stato di allerta fra messaggi e poche chiamate per non consumare batteria. Quando sorge il sole l’elicottero imbarca il personale del Soccorso alpino e si avvicina alle parete per una ricognizione: la coppia si trova a metà della via Cassin sulla Ovest, dove ha trascorso la notte. Nel frattempo la madre dell’alpinista, terrorizzata per la sorte del figlio, si sente male, l’equipe medica viene sbarcata all’Auronzo e la assiste. La domenica passa ma prima che i due riescano a raggiungere la vetta cala di nuovo il sole, un’altra notte in parete. Lunedì mattina le comunicazioni si fanno complicatissime. I familiari non riescono a darsi pace e richiedono un nuovo intervento dell’elicottero che sale al loro cospetto ma la coppia rifiuta ancora il soccorso mentre il tempo cambia: arriva la pioggia. 

IL QUARTO TENTATIVO


Alle 16 è la quarta volta che un elicottero arriva in zona, tre volte per la coppia, una per soccorre la madre; il velivolo dell’Aiut Alpin Dolomites di Bolzano si avvicina a Cima Ovest. Il tecnico del soccorso viene sbarcato sulla cengia. La coppia viene fatta spostare e aiutata a salire a 2750 metri di quota. «Pensavamo di essere quasi in cima» è l’unica cosa che riescono a dire quando vengono recuperati. Nella loro versione dei fatti ci sarebbe stato un errore di comunicazione a causa della lingua straniera e anche l’apprensione naturale di una madre. La donna non vedendolo rientrare aveva chiamato mezzo mondo chiedendo aiuto. E lui spiegò: «Ho visto diverse volte l’elicottero, ma non pensavo certo fosse lì per noi. Eravamo tranquilli, nessuno aveva avuto crisi di panico, stavamo solo attendendo che il meteo cambiasse. Capisco che ci sono persone che affrontano quella parete in 12 ore, ma noi la facciamo con i nostri tempi. Eravamo lì da due giorni e mezzo, perché i brutto tempo non ci permetteva di fare altrimenti, ma eravamo tranquillissimi». Solo loro però, visto lo scompiglio creato all’organizzazione dei soccorsi che ancora oggi attendono il saldo.

 

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Il Gazzettino