Morte di Sissy, pistola e pc sotto esame: entro 60 giorni la verità degli esperti

Morte di Sissy, pistola e pc sotto esame: entro 60 giorni la verità degli esperti
VENEZIA - Sessanta giorni di tempo da ieri. Sono quelli che avranno l'ingegner Nicola Chemello e la biologa Luciana Caenazzo, docente del dipartimento di Medicina Molecolare...

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VENEZIA - Sessanta giorni di tempo da ieri. Sono quelli che avranno l'ingegner Nicola Chemello e la biologa Luciana Caenazzo, docente del dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Padova, per dare una risposta alla procura di Venezia sul pc e sulle tracce di sangue e dna presenti (o meno) sulla pistola tenuta tra le mani dall'agente di polizia penitenziaria del carcere femminile della Giudecca, Maria Teresa (Sissy) Trovato Mazza, quel primo novembre 2016, quando un proiettile sparato all'interno dell'ascensore del reparto di Pediatria dell'ospedale Civile di Venezia, l'aveva ridotta in coma. Le complicanze di quel colpo l'hanno poi uccisa il 12 gennaio scorso, dopo due anni di vita passata attaccata ad un respiratore. 


GLI INCARICHI Ieri mattina il sostituto procuratore Elisabetta Spigarelli, che sta indagando contro ignoti per induzione al suicidio, ha dato mandato ai propri esperti (l'ingegner Chemello e la professoressa Caenazzo) di portare a termine le consulenze richieste il 30 ottobre dal gip di Venezia, che aveva respinto l'istanza di archiviazione fatta scendere dalla procura. La morte di Maria Teresa, per tutti Sissy, aveva gettato nuove ombre sul caso, riaprendo alle ipotesi sostenute dalla famiglia, ovvero che Sissy, 29 anni, non avesse nessuna intenzione di suicidarsi, ma che il colpo fosse stato sparato da altri. Tesi che ora passerà al vaglio dei due consulenti nominati dalla procura, chiamati a trovare eventuali tracce di dna sull'arma e ricostruire le operazioni effettuate con il pc nei giorni successivi allo sparo dell'1 novembre 2016 dato che il pc dell'agente era tornato alla famiglia completamente resettato. Con i dati personali del tutto cancellati. Mancano, poi, le impronte sulla pistola così come le tracce di polvere da sparo su entrambe le mani. Secondo l'avvocato Anselmo questa circostanza potrebbe avvalorare l'ipotesi che a utilizzare l'arma sia stato qualcun altro, che poi l'ha ripulita mettendola in mano alla vittima. Ciò spiegherebbe anche perché sulla mano destra di Sissy (quella con cui, nell'ipotesi della procura, la ragazza si sarebbe sparata) non è stato rinvenuta una quantità di polvere da sparo superiore all'altra. E ancora: sulla pistola non sono state rinvenute tracce di sangue.


LA LETTERA Nessuna indagine per ora, invece, sulla lettera trovata dal padre dell'agente nei giorni successivi alla sua morte. In quello scritto indirizzato all'ex direttrice del carcere femminile di Venezia, Gabriella Straffi, la ventinovenne di origine calabrese era a chiedere un colloquio con la direttrice del penitenziario della Giudecca per riferire «fatti gravi che riguardano le mie colleghe» e che lei era venuta a sapere grazie alle confessioni che le avevano fatto «molte detenute». Cosa voleva denunciare l'agente? La lettera, depositata in procura, come confermato anche dall'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia di Sissy, non è però stata ancora fatta oggetto di indagine dalla magistratura, decisa prima a fugare ogni dubbio oggettivo su come si siano svolti i fatti, partendo proprio dalle tracce di dna e dall'analisi del computer della ventinovenne. A cui si potranno unire, poi, i tabulati telefonici chiesti dalla stessa procura veneziana per poter ricostruire meglio gli ultimi giorni vissuti da Maria Teresa, i suoi contatti, i messaggi mandati e le chiamate fatte. Ma quella lettera è la conferma che nel carcere in cui lavorava Sissy, c'era qualcosa di poco chiaro.

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Il Gazzettino