Silvio Lanaro non è morto del tutto, quel triste 23 giugno del 2013, vinto a 71 anni da una lunga serie di malanni. Non solo la sua opera continua a parlarci, ispirando una...
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Ma se si riparla oggi di Lanaro è anche perché domani alle 15 nel Dipartimento di Storia dell'Università di Padova si terrà un convegno a lui dedicato, e alle 18 gli sarà intitolata una sala della Biblioteca di Storia, a cui lo studioso ha lasciato in eredità la sua biblioteca personale.
«Al centro del dibattito - spiega Mario Isnenghi - ci sarà un confronto sul volume della Storia d'Italia della Einaudi dedicato al Veneto e da lui curato, nel 1984: non si vuole con questo limitare la sua statura di studioso all'ambito veneto (il suo capolavoro fu semmai Nazione e lavoro, e il suo raggio d'azione superò anche la storia nazionale, dedicandosi in particolare alla Francia), ma prendere atto che la sua interpretazione di alcune dinamiche regionali è stata ed è rimasta imprescindibile a tutti i livelli, anche fra chi non ha letto i suoi libri: non a caso modello veneto è diventato uno stereotipo. Accanto alle motivazioni personali, a spingerci a ricordarlo è dunque il fatto che i suoi studi, con la sua visione alta dei processi storici e la sua capacità di individuare e interpretare le grandi idee che li determinano, a oltre trent'anni dalla loro pubblicazione sono ancora validi: sia che affrontino i nessi regione e nazione o il modello industriale prevalente nel Veneto».
Naturalmente ad assicurare l'attualità dei suoi scritti ha provveduto il dibattito sulla questione veneta o nordestina, che ha tenuto banco negli ultimi decenni come corollario di quella che Isnenghi chiama una concezione sanmarinesca della politica, che ha fatto salutare semplicisticamente come dato positivo e fautore di una vocazione europeista (anche da sinistra) la carenza di spirito nazionale nel nostro paese. A questo proposito risulta particolarmente interessante, nel volume Einaudi, la lettura del capitolo relativo al Veneto dopo il 1866 e al suo rapporto con o Stato, in cui Lanaro evidenziava il disinteresse manifesto della classi dirigenti veneti rispetto alle questioni e alle istituzioni nazionali: «Non che i possidenti fossero austriacanti - rileva Isnenghi - ma avrebbero preferito rimanere sindaci dei loro territori piuttosto che diventare, come fu naturale che avvenisse, senatori del Regno. Un atteggiamento figlio della modalità con cui Venezia esercitò il suo dominio sulle province della terraferma e il loro patriziato, che furono ben più complesse e meno idilliache di come se le figurano i leghisti».
Ecco perché «oggi Lanaro sarebbe vigorosamente contrario all'atteggiamento di disinteresse ed oblio con cui la nostra Regione ha affrontato questa ricorrenza». Ed ecco perché il suo saggio del 1966 compare sul nuovo numero di Venetica. «Dopo le polemiche sul libro di Ettore Beggiato contro il Plebiscito distribuito alle biblioteche ho scritto al presidente del Consiglio Regionale Roberto Ciambetti suggerendogli di fare lo stesso con la nostra rivista, e annunciandogli anche la pubblicazione di itinerari risorgimentali nelle varie province a cura degli Istituti della Resistenza, ma non ho avuto risposta».
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Il Gazzettino