Settimana corta, i presidi padovani bocciano il piano proposto dalla Provincia

Ghion: «Basta chiedere sacrifici agli studenti». Il piano tramonta ma Gottardo insiste: «Tra 10 anni sarà così in ogni scuola»

Scuola
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PADOVA - Doveva essere un primo confronto interlocutorio ma è bastata mezz’ora per capire che sarebbe diventato un incontro già decisivo e risolutivo. La stragrande maggioranza dei presidi risponde picche alla Provincia davanti alla proposta di chiudere le scuole superiori al sabato per risparmiare 400mila euro sul riscaldamento. L’orientamento degli istituti è stato netto e così il progetto almeno per quest’anno è destinato a tramontare ancor prima di essere studiato nel dettaglio. Ieri pomeriggio a Palazzo Santo Stefano i dirigenti presenti erano 30 su 37 e la maggioranza ha ribadito questo concetto: «Chiudere le scuole al sabato non è fattibile per motivi organizzativi e per motivi didattici. Smettiamola di chiedere sacrifici ai nostri ragazzi». Una doccia fredda per il presidente reggente Vincenzo Gottardo e per il consigliere delegato Alessandro Bisato, i due grandi fautori di una proposta sostenuta anche dal sindaco di Padova (e prossimo presidente della Provincia) Sergio Giordani. Tra le voci decisamente perplesse vanno evidenziate quella del provveditore Roberto Natale e quella del presidente provinciale dell’Associazione dei presidi, Enrico Ghion. Pochissimi i dirigenti pronti invece ad avviare subito la rivoluzione.

La proposta

Partiamo dalla relazione snocciolata da Gottardo. La Provincia spende 18mila euro al giorno per riscaldare le 64 sedi dei 37 istituti superiori dove studiano 39mila studenti. Sono in corso interventi di riqualificazione energetica (installazione di valvole termostatiche e di lampade a led, ma anche potenziamento dei sistemi di telecontrollo nelle centrali termiche) ed è in programma la realizzazione di impianti fotovoltaici. Ma intanto? Tenere chiuso per 22 sabati nella stagione fredda consentirebbe un risparmio di quasi mezzo milione. Gottardo ricorda che «la scelta della settimana corta non sarebbe dettata esclusivamente dal motivo del risparmio energetico» e punta a «migliorare la gestione e la didattica analogamente al modello europeo». Accanto a lui Bisato, delegato all’Edilizia scolastica, sceglie toni concilianti: «È giusto vederci e parlarci. È vero che è difficile prevedere un cambio d’orario immediato ma i momenti di emergenza se ben gestiti possono produrre cambiamenti efficienti e di prospettiva».

I pareri contrari

Le parole colme di fiducia però finiscono qui perché dopo di loro interviene il provveditore Natale e va dritto al punto. «Ricordiamo che le famiglie hanno scelto una determinata scuola per l’offerta didattica ma anche per quella organizzativa. Io ho delle riserve sulla possibilità di introdurre delle modifiche significative senza che ci sia un quadro normativo di emergenza delineato dal governo». Poi inizia un’ora di dibattito in cui prendono la parola perlopiù dirigenti contrari. C’è chi sostiene che per i ragazzi non va bene rimanere a scuola per sette ore, chi ricorda di non avere una mensa per introdurre la pausa pranzo e chi racconta di aver già fatto due sondaggi negli ultimi anni trovando sempre la maggioranza contraria. Il dirigente del liceo Selvatico Ghion (referente dei presidi) alza la voce: «Chiedendo un altro sacrificio alla scuola si fa passare un messaggio sbagliato». Franca Milani, dirigente al liceo Cornaro, allarga serafica le braccia: «È destabilizzante essere qui a fare questa discussione, si rischia di creare solo disorientamento». Una mitragliata di voci solo critiche tanto che a un certo punto Bisato invita i dirigenti che già adottano la settimana corta a portare la loro positiva esperienza.

Le conclusioni

In serata il presidente Gottardo non si scompone: «L’incontro è andato bene, l’obiettivo è che questo tavolo diventi permanente per fare sempre scelte condivise. C’erano tante voci contrarie ma anche quelle favorevoli di chi già adotta la settimana corta e non ci pensa affatto a tornare indietro. E c’era la voce entusiasta di chi, come il Calvi, partirà tra un anno». Ma non ha rammarico per tutti quei no? «In Italia il cambiamento fa sempre paura, ma tra 10 anni la scuola avrà solo la settimana corta». 

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Il Gazzettino