L'ebanista Del Pero, il più grande fotografo italiano "sconosciuto"

Illustrazione di Matteo Bergamelli
Fece l'artigiano ebanista per più di sessant'anni, dopo essersi diplomato maestro d'arte all'istituto dei Carmini a Venezia, ma il suo vero destino –...

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Fece l'artigiano ebanista per più di sessant'anni, dopo essersi diplomato maestro d'arte all'istituto dei Carmini a Venezia, ma il suo vero destino – incontrato tardi nella vita – era di essere fotografo; di abbracciare con lo sguardo (allora prevalentemente in bianco e nero) il mondo circostante, mediandolo con l'obbiettivo e la camera oscura. Ma Sergio Del Pero non fu solo un fotografo: fu uno dei più grandi fotografi del Novecento italiano. E uno dei meno conosciuti.


“Il più grande fotografo italiano sconosciuto”, recitava con ironia efficace lo slogan di una retrospettiva dedicatagli dalla Fondazione Wilmotte; ciò non gli impedì di collezionare – con evidente paradosso – oltre ottocento premi e ammissioni a concorsi in ogni parte del mondo: Russia, Francia, Spagna, Belgio, Germania e mille altri luoghi, oltre che naturalmente in Italia. Fu insignito delle massime onorificenze: Maestro della Fotografia Italiana, Artista ed Eccellenza della Federazione Internazionale dell'arte Fotografica. Nato a Murano il 31 agosto 1913, fu sempre un personaggio schivo e modesto, né il crescente successo lo indusse ad avviarsi alla carriera professionistica; questo, unito al fatto che anche le mostre personali furono tutto sommato rare nell'arco della sua intera attività fotografica, gli impedì di farsi conoscere appieno presso la critica e il grande pubblico. Aveva una trentina d'anni quando prese in mano per la prima volta una Zeiss Ikon a soffietto, iniziando a fotografare per puro diletto (più avanti usò una Rolleiflex 6x6 e diverse Leica). Era il 1933: quell'anno Del Pero si trasferì a Mestre, pur mantenendo aperti i contatti con l'isola natia per il resto della vita. Due anni più tardi si sposò con Licia Falcier. Mestre – sebbene molti anni più tardi – sarà determinante nelle scelte legate alla fotografia: nel 1957 iniziò a frequentare il negozio di belle arti di Giancarlo Angeloni nei pressi di Piazza Ferretto, che allora era luogo di ritrovo dei fotografi mestrini. “Con Angeloni e Bepi Bruno – raccontò lui stesso nel 1975 nell'unica intervista mai concessa, realizzata dalla fotogiornalista Etta Lisa Basaldella – cominciammo a incontrarci di sera con una certa regolarità e a parlare di fotografia”. I due lo convinsero a iscriversi al circolo fotografico “La Gondola” del quale già facevano parte, dando inizio alla prima stagione delle affermazioni nei concorsi con le sue fotografie dai toni contrastati, sulla scia di un altro astro emergente, Mario Giacomelli. Uscì però in modo traumatico dal club nel 1961, assieme ad altri soci, per dare vita alla breve vicenda di un altro sodalizio fotografico, il “Ponte”. Più avanti fondò anche “Il Fotogramma”. Sergio Del Pero si ritenne sempre, in qualche modo, un “artigiano” della fotografia e rivendicò con forza il suo dilettantismo, portato avanti per lunghi anni con grande passione: “La fotografia è un evadere dalla vita normale – raccontò ancora in quell'intervista –; è un'espressione personale, interna; bisogna avere un certo sentimento per poter fare delle fotografie. Non vado a fare le foto tanto per farle, se scatto è perché le vedo e le sento, in ogni immagine c’è sempre una certa poesia”. Fu il fotografo degli edifici e delle strutture architettoniche di Venezia, dalle quali carpiva l'essenza, ma soprattutto grande interprete nella messa in valore delle scene popolari e di vita quotidiana. Assieme alla cura dello sguardo, lavorò molto anche sulla produzione successiva delle immagini, in camera oscura, inventando le “Tagliatelle alla Del Pero”, strisce di carta impressionata alte cinque centimetri e lunghe anche cinquanta centimetri, che successivamente imitarono in molti. Morì a Mestre nel 1987 per i postumi di un grave incidente e dieci anni più tardi la moglie Licia donò l'intero fondo fotografico al Circolo “La Gondola”. Ne nacque un lungo lavoro di rivalutazione postuma che ebbe successo soprattutto grazie a Manfredo Manfroi (allora presidente del circolo) che ha salvato il fondo e promosso iniziative per riportare fuori dall'oblio questo grande maestro della fotografia italiana.
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Il Gazzettino