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I veneziani erano capaci di tutto, non si accorgevano neanche di quanto fossero abili nel creare la loro immagine. E sono andati avanti finché ci riuscivano. Oggi invece l'immagine di Venezia la costruiscono altri». Lo dice Gherardo Ortalli, già docente di Storia medievale a Ca' Foscari, presidente per sei anni dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, autore del libro Venezia inventata. Verità e leggenda della Serenissima, da poco uscito con il Mulino. «I veneziani», continua Ortalli, «sono riusciti fino in fondo a convincere gli altri di quello che volevano. Erano permeati di cultura mercantile, ma molto raffinata, è impressionante quello che sono riusciti a fare».L'esempio più clamoroso è quello dell'anno di nascita, il 421.
MANOSCRITTO
«A un certo punto salta fuori non si sa come e perché in un manoscritto duecentesco in francese e poi viene ripreso da tutti gli altri, a dimostrazione della capacità veneziana di costruire la propria immagine». Martino da Canal attorno al 1267 redige la sua cronaca in francese perché avesse una maggiore diffusione. A un certo punto scrive: «Voglio che sappiate che la bella città che si chiama Venezia fu edificata nell'anno 421 dall'incarnazione di nostro signore Gesù Cristo». Non passano nemmeno settant'anni e un'altra cronaca specifica pure il giorno della fondazione: 25 marzo. Lo precisa attorno al 1334 Jacopo Dondi, medico, che aveva prestato servizio a Chioggia dove si ritiene abbia contribuito alla costruzione di un orologio ancora oggi esistente. Dondi accredita ai padovani il merito di aver fondato Venezia: «dal senato dei Padovani e dai primari rappresentanti si è decretato di edificare una città nella zona di Rivo Alto e di riunire le genti delle isole circonvicine» e poi: «mandati lì tre consoli che soprintendessero per un biennio allo svolgimento dell'opera, il 25 di marzo ne fu gettato il primo fondamento».
Tutto falso, quindi, come si può facilmente dedurre, ma tutto molto utile a costruire il racconto mitico della fondazione e si tratta di un mito così radicato e durevole che quest'anni stiamo celebrando i 1600 di una nascita di Venezia in realtà mai avvenuta. Scrive Ortalli: «Il 421 come anno di nascita di Venezia era in ogni caso destinato a reggere. Così ancora oggi quell'anniversario privo della benché minima giustificazione, continua implacabilmente a essere festeggiato per tale da parte di private associazioni locali e organismi pubblici. Può sopravvivere perché non fa male a nessuno. Per di più, benché esito di fantasiose costruzioni, riuscì persino a prendere corpo in alcuni documenti ufficiali fortemente veri nella loro sostanziale falsità».
LA STORIOGRAFIA
«È comprensibile che questi miti siano sopravvissuti», afferma Ortalli, «dietro c'era un'etica della statualità molto forte, erano parte di percorsi che andavano molto a fondo e che si prestano a essere tenuti in vita artificialmente. Purtroppo la realtà di Venezia è finita: non è più una città, è un quartiere. Questo non toglie la dimensione della sua civiltà che tuttavia oggi viene trasformata in favole, la realtà seria viene ridotta in favolette».
Questo libro che ripercorre la storia dell'invenzione dell'idea di Venezia, si chiude con la fine della repubblica, nel 1797, e in più una postilla: «Il mito che sopravvive non è necessariamente la realtà, ma ne è una significativa lettura. E allora mito per mito l'ultimo e postumo tra i tanti con cui dobbiamo confrontarci è quello del buon governo della repubblica. È un mito sottoposto in più circostanze a efficaci contestazioni: dalla grande cultura illuministica settecentesca sino a meditate espressioni della più moderna storiografia che per sua natura deve anzitutto descrivere la realtà piuttosto che perdere tempo con le invenzioni. Ma (bene o male che sia) il mito, o se si preferisce la favola, resta pur sempre un segno forte e un giudizio chiaro per quanto inventato, anacronistico e irrazionale delle vicende storiche. Quali che fossero. A dispetto degli storici!».
La chiacchierata con Gherardo Ortalli prosegue parlando dei suoi prossimi libri.
MARCO POLO
Un tema inusuale per un medievista, più da sociologo che da storico, mentre l'ulteriore libro, che pubblicherà Viella, è più in linea con quello che ci si aspetterebbe da chi per un'intera carriera accademica si è sempre occupato di medioevo e molto spesso di Venezia: parlerà di Marco Polo. «È un lavoro che avevo fatto diversi anni fa», spiega Ortalli, «ma poi non me n'ero più occupato. Ora l'ho ripreso, dividendolo in due parti, un primo tempo e un secondo tempo, un po' come se fosse un film. Il primo tempo illustra come in mongoli entrino nell'Occidente, con l'Europa che non sa da dove vengano questi esseri considerati infernali e poi all'improvviso tornano tutti indietro senza che l'Europa capisca il perché. Noi oggi lo sappiamo: era morto il Gran Khan, ma al tempo appariva un mistero sia il loro arrivo, sia la loro partenza».
«Il secondo tempo», riprende Ortalli, «è lo scenario opposto, cioè il Milione: l'Occidente che va a est. Marco Polo finisce prigioniero con Rustichello e gli detta le sue avventure, nasce Il Milione, qualcosa di diverso da tutto ciò che si trovava fino a quel momento, che si rivolge a un pubblico ampio».
Il prof. Ortalli ci tiene a sottolineare che tutti questi lavori, Venezia inventata compresa, si basano esclusivamente sulle fonti, non su interpretazioni storiografiche. Sono stati scritti utilizzando gli archivi e non le biblioteche, per usare un linguaggio da profani. E le tre case editrici Mulino, Fondazione Benetton, Viella sono quelle con le quali il docente ha avuto un lungo rapporto di frequentazione e per le quali prova un sentimento di riconoscenza.
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Il Gazzettino