Don Marco lascia Schiavonia: il saluto al parroco simbolo della lotta al Covid

Don Marco lascia Schiavonia: addio al parroco simbolo della lotta al Covid
MONSELICE (PADOVA) - Da sacerdote nelle corsie del Covid hospital a parroco nel capoluogo padovano. In questi mesi don Marco Galante ha somministrato ai malati Covid...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

MONSELICE (PADOVA) - Da sacerdote nelle corsie del Covid hospital a parroco nel capoluogo padovano. In questi mesi don Marco Galante ha somministrato ai malati Covid «la medicina della speranza». E non poteva essere altrimenti per il cappellano dell'ospedale di Schiavonia che lo scorso novembre ha trascorso un mese intero all'interno dell'ospedale Covid, 24 ore su 24, a portare conforto ai malati e al personale sanitario. Adesso per lui, che ha 46 anni, da sette è amministratore parrocchiale di San Giacomo, Ca' Oddo, Marendole e Schiavonia e da cinque cappellano dell'ospedale, il vescovo di Padova ha individuato un nuovo incarico: parroco di San Giovanni Bosco, a Padova. Il suo è uno dei nomi che compaiono nell'elenco di nuove nomine reso noto dalla diocesi di Padova. L'ingresso nella nuova parrocchia dovrebbe avvenire a inizio ottobre.


LA PARTENZA
«L'esperienza in ospedale non si concluderà subito. Rimarrò in servizio finché non verrà individuato il mio successore», assicura il sacerdote rallegrandosi del fatto che l'ospedale sia finalmente Covid free. Il Madre Teresa di Calcutta è stato il primo Covid hospital del Veneto e d'Italia. Qui quel fatidico 21 febbraio del 2020 morì la prima vittima. Un ospedale-simbolo in cui don Marco è diventato a sua volta simbolo di una chiesa che sta accanto a chi soffre. Anche stavolta ha risposto senza esitazioni alla chiamata del Vescovo, proprio come era successo a fine ottobre del 2020, quando don Claudio Cipolla gli aveva proposto la delicata missione di dispensare speranza nella difficile seconda ondata della pandemia. «Il mio compito è servire la chiesa dove il Vescovo ritiene più opportuno afferma don Galante, che è originario di Este Noi preti ogni tanto siamo chiamati a questi cambi di sede ma la chiesa è universale e quello che conta davvero è la gioia di poter annunciare il Vangelo».


IL BAGAGLIO


Certo da Monselice partirà con un bagaglio umano e spirituale importante, alla luce soprattutto dell'esperienza vissuta in questo ultimo anno e mezzo. «L'esperienza dell'ospedale è una scuola di vita. L'ospedale non è solo un luogo di morte e di sofferenza, anzi è un luogo dove si impara la vita. Io ho imparato a vivere, in ospedale. Come uomo e anche come sacerdote», racconta. Difficile per lui riassumerla in poche frasi, ma c'è una parola che più di tutte condensa il vissuto a Schiavonia: «Fraternità. Con i medici, con il personale, con i pazienti. Era un sentimento già presente prima dell'emergenza ma questa pandemia l'ha accresciuto ricordandoci che ogni persona che soffre è un fratello». Don Marco questa sofferenza l'ha toccata con mano. Tutti i giorni ha fatto visita ai malati colpiti dal virus. A identificarlo il nome scritto sulla visiera e una croce stilizzata disegnata sul camice. Questa sua missione don Marco l'aveva raccontata a papa Francesco in una lettera a cui il pontefice aveva risposto con una telefonata. Era metà aprile e don Marco, per indole incline allo scherzo e alla battuta, era rimasto ammutolito. «È stato uno dei momenti più emozionanti confessa soprattutto per il messaggio che ha voluto lasciare a tutti noi che lavoriamo all'interno dell'ospedale. Ci ha detto: Non vivete mai per abitudine accanto a chi soffre». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino