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MONSELICE (PADOVA) - Da sacerdote nelle corsie del Covid hospital a parroco nel capoluogo padovano. In questi mesi don Marco Galante ha somministrato ai malati Covid «la medicina della speranza». E non poteva essere altrimenti per il cappellano dell'ospedale di Schiavonia che lo scorso novembre ha trascorso un mese intero all'interno dell'ospedale Covid, 24 ore su 24, a portare conforto ai malati e al personale sanitario. Adesso per lui, che ha 46 anni, da sette è amministratore parrocchiale di San Giacomo, Ca' Oddo, Marendole e Schiavonia e da cinque cappellano dell'ospedale, il vescovo di Padova ha individuato un nuovo incarico: parroco di San Giovanni Bosco, a Padova. Il suo è uno dei nomi che compaiono nell'elenco di nuove nomine reso noto dalla diocesi di Padova. L'ingresso nella nuova parrocchia dovrebbe avvenire a inizio ottobre.
LA PARTENZA
«L'esperienza in ospedale non si concluderà subito.
IL BAGAGLIO
Certo da Monselice partirà con un bagaglio umano e spirituale importante, alla luce soprattutto dell'esperienza vissuta in questo ultimo anno e mezzo. «L'esperienza dell'ospedale è una scuola di vita. L'ospedale non è solo un luogo di morte e di sofferenza, anzi è un luogo dove si impara la vita. Io ho imparato a vivere, in ospedale. Come uomo e anche come sacerdote», racconta. Difficile per lui riassumerla in poche frasi, ma c'è una parola che più di tutte condensa il vissuto a Schiavonia: «Fraternità. Con i medici, con il personale, con i pazienti. Era un sentimento già presente prima dell'emergenza ma questa pandemia l'ha accresciuto ricordandoci che ogni persona che soffre è un fratello». Don Marco questa sofferenza l'ha toccata con mano. Tutti i giorni ha fatto visita ai malati colpiti dal virus. A identificarlo il nome scritto sulla visiera e una croce stilizzata disegnata sul camice. Questa sua missione don Marco l'aveva raccontata a papa Francesco in una lettera a cui il pontefice aveva risposto con una telefonata. Era metà aprile e don Marco, per indole incline allo scherzo e alla battuta, era rimasto ammutolito. «È stato uno dei momenti più emozionanti confessa soprattutto per il messaggio che ha voluto lasciare a tutti noi che lavoriamo all'interno dell'ospedale. Ci ha detto: Non vivete mai per abitudine accanto a chi soffre». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino