Esercitazione del soccorso alpino sulla parete da brividi del Burel: ritrovati i chiodi della prima ascensione del 1974

Esercitazione sul Burel: parete da brividi
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BELLUNO - Dire Burel, per chi ne mastica di montagna, è dire selvaggio che di più non si può. La sua parete – con la via italo polacca - è da brividi. Qui, in caso di necessità, pure l’elicottero fatica a portare aiuto. Risulta straordinaria, quindi, l’esercitazione che il Soccorso alpino della stazione di Belluno ha effettuato domenica sul Gruppo della Schiara con 13 tecnici che si sono avvicendati per oltre sei ore in passaggi impegnativi: 11 uomini e 3 donne di cui 2 del gruppo sanitario. Scopo: mettersi alla prova in un ambiente difficile, simulando il raggiungimento e il recupero di una cordata in difficoltà alla base dei grandi soffitti superiori rimasti inviolati dal 1979. Anche Reinhold Messner, aveva messo le mani su questa roccia cima del Burel si trova a 2.288 metri di quota: «Se l’era sudata – precisa Gianpaolo Sani è il capostazione Cnsas di Belluno - tanto che nella sua relazione aveva fatto riferimento all’oppressione data dai tetti e all’incertezza di uscirne fuori».


LA SORPRESA
L’addestramento tecnico ha avuto, pure, un risvolto storico: «Sono stati rivenuti i chiodi originali della prima ascensione e un cuneo, probabilmente infisso nel corso della prima invernale nel 1974 - racconta Sani - si trovava nel passaggio chiave, era marcio tanto che ci è rimasto quasi in mano. Da quel che ha detto Gianeselli non è suo, quindi, è stato lasciato molto probabilmente da Riccardo Bee e Franco Miotto nella incredibile loro prima invernale». Gianni Gianeselli – come ricordato anche da Alessandro Raccanello – scalò per la prima volta con Giorgio Garna e sette alpinisti polacchi, tra il 15 agosto e il 25 agosto del 1967, la via Italo-polacca o Via Centrale con l’enorme diedro situato nel mezzo della parete che caratterizza i 1480 metri di baratro divisi a metà da una stretta cengia.

LA VERIFICA 
Si contano sulle dita di una mano gli alpinisti che hanno provato a cimentarsi sugli strapiombi finali del Burel. L’ultimo, nel 2017, Luca Vallata (in cordata con Zanin e Zeni) costretto a fermarsi dopo 23 tiri su 35 a causa della roccia franata: «L’esercitazione di domenica ci ha permesso di capire lo stato dell’arte di una zona dove effettivamente sono caduti tre giganteschi blocchi – affermano Sani e Raccanello – ma abbiamo visto che la via, anche se solo per pochi metri, risulta comunque percorribile». Intatta la ventottesima sosta della via, quella determinante per fuggire dai grandi soffitti che chiudono la parete. 

L’ESERCITAZIONE 
Per raggiungere il punto dove si è ipotizzata la necessità di un recupero servono molte ore: «I volontari sono saliti ad un intaglio di cresta, sono passati in versante sud, hanno attrezzato una cengia sospesa sugli alti appicchi della Val de Piero fino all’uscita della via italo-polacca» è il resoconto fornito dalla Stazione di Belluno del Soccorso alpino. Sono seguite cinque calate a corda doppia, l’ultima delle quali di 80 metri, fino alla sottile cengia dove fu ritratto Gianeselli nel corso della prima ascensione (26esimo tiro di corda), finora l’unica fotografia nota che documenti quei luoghi. Al termine della parte più tecnica dell’esercitazione è seguito il rientro a valle, passando per Van de la S’ciara e il Rifugio Bianchet. 

LE COLLABORAZIONI 

Mettersi insieme per raggiungere il risultato. Ecco che per l’esercitazione la collaborazione è stata determinante: «Il grazie del Cnsas va all’Ente Parco per l’autorizzazione concessa ad effettuare la simulazione di soccorso e alla Regione Veneto per la disponibilità del mezzo aereo». Grazie, soprattutto, a tutti i volontari che sono stati impegnati nell’esplorazione di una delle più alte e importanti pareti dolomitiche. Di certo la più inaccessibile.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino