PADOVA - (lil.ab.) Come tutti, anche i calzaturieri del Brenta hanno sentito il peso della crisi. Ma nel breve (si fa per dire) arco di cinque anni la storia si è...
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«Siamo riusciti a fare sinergia con le grandi griffe - spiega Badon - ed è qualcosa di sorprednente se si pensa invece alle difficoltà, direi tipicamente venete, di fare squadra tra noi. Il fatto è che siamo grandi produttori, ma non altrettanto grandi venditori. Però la capacità produttiva di alto livello ci ha salvati: altrimenti i francesi non sarebbero venuti a cercarci...».
Una scuola, quella dei calzaturieri del Brenta, nata con i grandi artigiani del dopoguerra e consolidata dai figli che negli anni 60 e 70 hanno fatto il salto di qualità e quantità. Oggi, che è avviato il terzo passaggio generazionale, è il momento anche per i calzaturieri di entrare nell'industria 4.0. «Che per noi significa aumento del livello qualitativo a un punto non replicabile da altri - chiarisce Badon - grazie anche alla formazione fornita dal Politecnico che forma i nuovi calzaturieri; ma significa anche applicazione delle tecnologie digitali nella produzione. La smart factory nasce dall'integrazione dei sistemi e di questi con l'uomo. Anche per questo la scelta di puntare sulla produzione di qualità è stata obbligata: i nostri costi non sono assorbibili se non da prodotti ad elevato valore aggiunto».
Una strategia che può essere replicata anche negli altri ambiti produttivi italiani? «Non lo so - mette le mani avanti il presidente Badon -: noi veneti siamo cresciuti con fondamentali culturali e valoriali particolari». A prova di imitazione.
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Il Gazzettino