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Una tac di sabato mattina? Impossibile, un sogno. La disponibilità è a quota zero. E non importa dove ci si sposti in regione, salvo casi rarissimi. Di domenica? Neanche parlarne. Non si può. E la tac è solo un esempio, perché il concetto vale per la maggior parte delle prestazioni che gli ospedali dovrebbero garantire verso l’esterno, cioè al di fuori degli ambiti dell’urgenza e dell’internistica, ovvero delle attività rivolte ai pazienti già ricoverati. Durante il fine settimana, in poche parole, tutto tace. E di fatto si perdono due giorni (che diventano praticamente due giorni e mezzo, vedremo perché) che tornerebbero molto utili per abbattere i tempi d’attesa e recuperare il tempo perso a causa della pandemia.
IL VIAGGIO
La risposta che ci si sente appioppare è «non si può». Non si può perché anche rimodulando i turni e cambiando i giorni liberi, non si riuscirebbe a venirne fuori. Il mercoledì - ad esempio - diventerebbe un nuovo sabato se si decidesse di aprire le porte degli ambulatori e di far funzionare i macchinari per il pubblico esterno durante il fine settimana. Il ritornello è sempre lo stesso: la coperta è corta e il personale è appena sufficiente a coprire non sette, non sei, ma addirittura i cinque giorni totalmente feriali. Sta di fatto, però, che in questo modo si finisce per perdere del tempo prezioso nell’ottica di un recupero delle prestazioni che latitano ormai da due anni, cioè da quando il Covid ha sparigliato le carte.
COLLO DI BOTTIGLIA
Cosa succede negli ospedali durante i fine settimana? La macchina non si ferma del tutto. Naturalmente lavora il sistema dell’emergenza-urgenza, con il Pronto soccorso che si raccorda poi con gli altri reparti. Lavora la Terapia intensiva, vengono garantiti gli interventi chirurgici che non possono aspettare, ad esempio in caso di trauma. Anche i macchinari, come le risonanze, le tac, la radiologia in genere, sono a disposizione. Ma in questo caso solamente a beneficio di chi in ospedale c’è già come paziente ricoverato. Oppure in casi di massima necessità e urgenza. Le attività verso l’esterno invece si sospendono. E non è raro che capiti di vedere un settore “staccare” già attorno alle 15 del venerdì, quando di visite ormai se ne fanno pochissime. Una specie di venerdì corto che nasce dal cumulo delle ore lavorate dai singoli medici ma che allunga ancora di più la fascia durante la quale l’ospedale fatica a rispondere al territorio.
I CONTRATTI
Il medico, ad esempio, deve rispettare almeno le 38 ore settimanali. Generalmente la maggior parte dei professionisti sfora questo monte ed è presente per più tempo all’interno degli ospedali. Uno dei problemi, però, è rappresentato dalla necessità di garantire la reperibilità e le attività di supporto al Pronto soccorso, cioè a un reparto che non può fermarsi. Ecco perché dal privato (un esempio, il Policlinico San Giorgio di Pordneone), una visita specialistica o un esame diagnostico di base è possibile e fattibile anche di sabato. Tranquillamente. Si tratta però di una struttura che non deve fare i conti con il primo soccorso, appoggiandosi per questo compito al settore pubblico.
In definitiva, il problema è sempre lo stesso: il personale non è sufficiente a coprire anche il sabato e la domenica. E ridurre i giri del motore diventa l’unico modo per poter tenere in piedi il sistema. L’alternativa, se si volesse uniformare le prestazioni spalmandole anche durante il fine settimana, sarebbe quello di penalizzare i giorni “normali”. È il sintomo di un sistema che nel complesso riesce a stento a reggere per cinque giorni. E che senza un’iniezione di forza lavoro faticherà a recuperare il tempo perso.
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Il Gazzettino