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TRECENTA - Un dosaggio eccessivo di un potente anticoagulante somministrato a una paziente 82enne che era stata ricoverata all’ospedale di Trecenta e che si è poi spenta quattro mesi dopo: per questo, a distanza di 11 anni, il dirigente medico che prescrisse la terapia durante il ricovero è stato condannato a pagare un risarcimento di ben 262.650 euro all’Ulss 5 Polesana. A deciderlo, la sentenza pronunciata dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto della Corte dei conti, arrivata al termine della camera di consiglio del 20 aprile scorso, nella quale si ripercorre tutta la delicata vicenda che risale a oltre due lustri fa e che è iniziata il 18 febbraio 2012, quando una 82enne, già affetta da cardiopatia fibrillante, si è presentata al pronto soccorso di Trecenta in stato confusionale e con vari sintomi, tanto da venire ricoverata nel reparto di Chirurgia, dove è rimasta fino al 26 febbraio.
L’AGGRAVAMENTO
È durante il ricovero che il medico in questione, Tobia Gobbi, residente a Padova, avrebbe aumentato il dosaggio del Cumadin, farmaco che già la donna assumeva.
VICENDA GIUDIZIARIA
Nel gennaio 2013 i familiari dell’anziana hanno avanzato una richiesta di risarcimento nei confronti di quella che allora era l’Ulss 18 di Rovigo per ipotizzati danni derivati da asserite inadeguate prestazioni sanitarie ricevute. Nel settembre 2014 è stato poi presentato un ricorso per consulenza tecnica preventiva, con il quale i familiari dell’anziana hanno chiesto al giudice l’accertamento di responsabilità in capo all’Ulss e di valutare il danno per tentare di arrivare alla composizione stragiudiziale della lite. L’Ulss 18, attraverso il proprio difensore, l’avvocato Giuseppe Sarti, si è avvalsa della consulenza medico legale della dottoressa Silvia Tambuscio di Padova, mentre consulente tecnico d’ufficio era stato nominato il dottor Antonio Zanzi, secondo il quale l’incongrua e sproporzionata prescrizione di terapia anticoagulante sarebbe stata la causa della successiva emorragia che avrebbe poi condotto al decesso dell’anziana.
Il consulente dell’Ulss e quello dell’assicurazione non hanno obiettato alcunché e nel 2016 hanno così transato pagando 255mila euro ai familiari. L’Ulss ha poi chiesto conto al medico, chiedendogli il pagamento di 262.714 con una richiesta del 27 marzo 2018, con la quale l’ha messo in mora. Si è così aperto un procedimento davanti alla Corte dei Conti che si è ora espressa, condannando il medico a pagare, sottolineando nella propria sentenza come, diversamente dal processo penale, «nel processo civile e in quello contabile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”».
Il Gazzettino