La capitana Manu Furlan: «Noi dell'Italrugby siamo ragazze "no limits"»

Manuela Furlan
«Che il rugby sia uno sport da uomini, poco adatto alle donne, è solo un luogo comune. Peggio, un pregiudizio culturale. Da vincere». Il giorno dopo...

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«Che il rugby sia uno sport da uomini, poco adatto alle donne, è solo un luogo comune. Peggio, un pregiudizio culturale. Da vincere». Il giorno dopo l'impresa - il successo dell'Italrugby femminile a Padova contro la blasonata Francia e la conquista dello storico secondo posto nel Sei Nazioni - Manuela Furlan, 30 anni, trevigiana, estremo del Villorba, da novembre capitana di una Nazionale molto veneta, è frastornata, travolta dal clamore. Lunedì 18 è un giorno speciale. Un inaspettato giorno di riposo in più, regalato dal titolare presente domenica allo stadio Plebiscito. Ma da oggi si torna in azienda.

Manuela, lei che lavoro fa?
«Sono dipendente della Astolfo di Dametto di Treviso, logistica. Nello scalo ferroviario carichiamo e scarichiamo vagoni e camion. Aiuto i mulettisti, cerco di fargli trovare tutto pronto, ma se c'è troppo traffico il muletto lo guido anch'io. Faticoso? A me piace. In squadra siamo in quattro, tre ragazzi ed io, unica donna. Ma in ufficio ce ne sono altre».
Come si diventa la seconda potenza europea del rugby, dietro solo alla corazzata Inghilterra che vi ha battuto 55 a 0?
«Con il lavoro. L'unione, il senso di appartenenza ad un gruppo e la fiducia in se stesse. Queste prestazioni sono il frutto di una crescita lenta, iniziata nel 2010 quando la Nazionale l'ha presa in mano il nostro allenatore Andrea Di Giandomenico».
I Mondiali sono tra due anni, dove volete arrivare?
«Non ho mai posto limiti a me stessa e non li porrò mai a questa squadra. Mai accontentarsi».
Da dove nasce la passione per il rugby?
«Il rugby l'ho sempre respirato in casa perché mio fratello gioca da quando aveva sei anni e anche oggi lo fa in serie A a Paese. Da piccola facevo pallavolo, dopo un po' smisi. Un giorno un'amica di mia madre, Elena Visetto, ex nazionale, mi dice: «Invece di stare a casa a non far niente, prova col rugby...». Avevo 17 anni, non ho più mollato».
Cosa l'ha conquistata?
«L'atmosfera. La vicinanza, la coesione, l'amicizia anche tra avversari. È contagiosa. L'ho trovata solo qui».
Cosa spinge una donna a buttarsi nel fango, prendere pugni in faccia o sulle gengive?
«Da bambina ho sempre giocato fuori nei parchi, non c'era mezza volta che tornassi a casa pulita, ero tremenda...Quanto al contatto fisico, basta tenere bene allenato il corpo per essere preparata a prenderle e a darle. Il punto vero della questione è mentale, uguale per uomini e donne, in questo e negli altri sport: si tratta di superare la paura. Se entri in campo con la paura, allora ti fai male. Io cerco di concentrarmi sulla prestazione, sui dettagli, cerco la precisione».
Ad una ragazza indecisa sul rugby cosa direbbe?
«Di non ascoltare quello che dice la gente. Il mondo è sempre stato pieno di pregiudizi. Per qualsiasi argomento c'è un pregiudizio. Se dovessimo sempre ascoltare le opinioni altrui nessuno si muoverebbe di casa. Ad esempio: chi stabilisce che uno sport di contatto fisico è roba da uomini e non da donne?»

La sua settimana tipo qual è?
«Mi alzo presto e lavoro fino alle 17.30, dal lunedì al venerdì. Poi c'è il rugby, noi siamo dilettanti, non professioniste. Allenamento con il club tre volte la settimana che integro negli altri giorni con sedute di palestra o atletica. La partita alla domenica. Dimenticavo: dormo anche qualche ora».
Non pesa?
«Nessun problema, mi piace. Chiaro che ci sono giornate che arrivo a sera sfinita».
Vita privata?
«Ho due bellissimi nipotini. Mi rilasso leggendo, l'ultimo bello è stato Le pagine della nostra vita, o il fantasy, Harry Potter, Il Signore degli Anelli. E i film».
Lei è diventata capitana azzurra a novembre prendendo la fascia da Sara Barattin che è la sua capitana nel Villorba. C'è la sua firma in questa impresa?
«Se fosse rimasta Sara il risultato sarebbe arrivato lo stesso perchè è frutto di un lavoro comune. La mia firma? Meglio chiedere alle compagne. Mi riconosco la determinazione, trascinatrice un po' lo sono».
Gli azzurri del rugby si sono fatti sentire?

«Certo che sì, ci hanno bombardato di messaggi. I ragazzi ci sostengono, ci mandano l'in bocca al lupo. Anche noi siamo dispiaciute per loro. Penso che un paio di partite le hanno perse per dei dettagli, ma la base è buona. Al Mondiale faranno bene».
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Il Gazzettino