Treviso sta attraversando un'epoca d'oro per le iniziative museali: nell'ottobre del 2015 ha celebrato la rinascita del Museo Bailo, che tutela una della più...
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La collezione sarà collocata in due siti, recuperati, grazie a un investimento statale di circa 6 milioni, a cura del Ministero dei beni culturali. Uno è la chiesa sconsacrata di Santa Margherita, costruita nel XIII secolo, con gli interni finemente affrescati (distrutti nel corso delle devastazioni di Napoleone, ad eccezione del ciclo delle Storie di Sant'Orsola, scoperte negli anni 1882-83 in una cappella dall'abate Bailo, distaccate, intelaiate e ora custodite nella chiesa di Santa Caterina che dà il nome al museo succitato), e corredata dagli indispensabili laboratori per il restauro e la fotografia. L'altro è la chiesa di San Gaetano, anch'essa del '200, allora dedicata ai Cavalieri Templari, con il nome di San Giovanni al Tempio e completamente rifatta nel '500, ancora consacrata ma da anni fuori uso, con il limitrofo palazzo, dove, con cadenza quadrimestrale, saranno allestite le mostre che presenteranno ciclicamente le singole sezioni della collezione.
Ferdinando Salce (1878-1962), detto Nando, trevigiano, aveva ereditato l'azienda paterna, fiorita sul commercio di tessuti e, grazie all'efficienza organizzativa che vantava, si permise di dedicarsi in esclusiva al collezionismo di manifesti, con a fianco la moglie Gina Gregori, a sua volta benestante e possidente, con un padre industriale di celebri ceramiche. Il suo primo acquisto l'aveva fatto, diciassettenne, facendosi dare di nascosto dall'attacchino comunale (per una lira, si legge nelle biografie; forse pari a sette-otto euro di oggi) il celebre manifesto della Società Anonima Incandescenza a gas brevetto Auer, capolavoro di Giovanni Maria Mataloni, stampato dall'Istituto Cartografico italiano di Roma e ora usato quale logo nei comunicati relativi al nuovo museo. Poi, per tutta la vita, continuò gli acquisti mettendosi in contatto epistolare o diretto con i maggiori editori e tipografi del ramo pubblicitario, le aziende, fabbriche e teatri committenti (la Scala), le gallerie specializzate (come la parigina Sagot), le imprese di affissione e gli artisti stessi. Arrivò a possederne una quantità astronomica, passata in dono allo Stato e archiviata regolarmente solo nei tardi anni '60, per un totale di 24.580 esemplari. Tra i più autorevoli cartellonisti del tempo la raccolta comprende ora 618 Dudovich, 442 Mauzan, 288 Cappiello, 197 Metlicovitz; e, sempre ben rappresentati, svariati Cambellotti, Hohenstein, Laskoff, Mataloni; ma anche maestri come Boccioni, Casorati, De Chirico, Depero. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino