Le Putte del Coro, gli “usignoli” degli antichi ospedali

Putte del Coro ritratte da Matteo Bergamelli
Il duca Massimiliano Emanuele di Baviera e il compositore inglese Charles Burney usarono la stessa parola per definirle: “usignoli”. E in effetti la voce è...

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Il duca Massimiliano Emanuele di Baviera e il compositore inglese Charles Burney usarono la stessa parola per definirle: “usignoli”. E in effetti la voce è l’unica cosa della quale ci rimanga il ricordo, nelle cronache, delle “Putte del Coro”, le cantanti - ma anche le strumentiste - dei grandi Ospedali veneziani, dal modello dei quali nacquero i primi grandi conservatori europei di Parigi, Londra e Berlino. Il ricordo della voce è rafforzato dal fatto che era anche l’unico che si potesse avere, di queste ragazze: le “Putte” cantavano nelle rispettive chiese (quattro, associate agli istituti della città che le avevano ospitate fin da quando erano state abbandonate) nascoste da cantorie, talvolta schermate anche da stoffe, e nessuno le poteva vedere in volto.


In principio, fin dal 1346, fu La Pietà (che a distanza di quasi settecento anni assiste madri e bambini ancora oggi...), ma ben presto gli “Ospedali” creati per accogliere le ragazze orfane o abbandonate divennero quattro, con l’aggiunta degli Incurabili, dei Mendicanti e dell’Ospedaletto. In questi istituti le ragazze venivano avviate al canto, alla teoria musicale e alla pratica di vari strumenti, con un grado di qualità straordinario, che vide l’insegnamento - fra gli altri - anche di musicisti del calibro di Antonio Vivaldi o Baldassare Galuppi. Soprattutto nel Sei e Settecento, gli Ospedali furono gli unici posti in Europa in cui le donne potessero suonare ogni tipo di strumento, insegnare, comporre e anche dirigere un’orchestra.

L’ingresso dei bimbi in questi istituti era registrato con l’indicazione di data, ora della consegna e la descrizione degli indumenti e oggetti posseduti tra cui, spesso, mezzo segnale di riconoscimento che avrebbe consentito di riprendere il bambino presentando l’altra metà del segnale, cosa che peraltro avveniva raramente. Oggi alla Pietà un toccante e bellissimo museo mostra alcune di queste “marche”, assieme agli strumenti musicali e ad altri documenti.
Per evitare che le famiglie abbandonassero i loro figli e figlie pur avendo la possibilità di mantenerli, si ricorse allo spauracchio della scomunica. In calle de la Pietà, su un muro dell’Ospedale, una lapide riporta una bolla papale: “Fulmina il Signor Iddio maleditioni e scomuniche contro quell’i quali mandano, o permettano syno mandati li loro figlioli, e figliole si legittimi, come naturali in questo Hospedale della Pietà”.
Alle Putte era però vietato, per tutta la vita, cantare nei teatri: quelle che lo fecero e diventarono famose non erano orfane, ma “figlie d’educazione” mandate lì a studiare, anche dall’estero. Mentre le ragazze venivano educate per essere poi maritate o mandate a servizio in qualche famiglia, i maschi partivano per l’entroterra dove venivano avviati al lavoro nelle proprietà terriere dell’Ospedale, come contadini e masseri.
Ma questi luoghi di assistenza erano dunque anche realtà culturali vivacissime, perfettamente inserite nella comunità cittadina che amava e apprezzava la musica sacra che vi veniva eseguita. Ovviamente non mancano gli aneddoti: nel 1774 Jean-Jacques Rousseau rimase talmente affascinato dalla bellezza delle voci da scrivere “non conosco nulla di così voluttuoso, di così commovente”. Centocinquant’anni prima Piero Coletti, libraio “al San Pietro al ponte di Rialto” lasciò nel suo testamento, steso il primo agosto 1630, 1.240 lire all’Ospedaletto dei Derelitti, ed ebbe parole di ringraziamento per le Putte del Coro “per haverle sentite à cantar… che per tal causa ho schivato molte compagnie quale potrebbe essermi per me state dannose”.


Nella seconda metà del Settecento insegnò musica alla Pietà il compositore buranello Baldassare Galuppi. Un giorno, a un procuratore che, vedendolo lavorare con tante belle ragazze, gli disse: “Fortunato maestro, tra tante amabili fanciulle”, rispose: “Eccellenza, tanti fazzoletti a chi è senza naso”. Ai Mendicanti infine, il 28 marzo 1775 l’imperatore Giuseppe II assistette a un concerto: colpito dalla bellezza della musica, si fece portare lo spartito e – unico uomo nella storia secolare degli Ospedali – si mise a cantare assieme alle Putte, delle quali oggi serbiamo il ricordo della voce nelle parole di chi le ascoltò, e null’altro.
 

 

 

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Il Gazzettino