Giannantonio Selva, architetto rinomato e amico fraterno di Antonio Canova

Giannantonio Selva
Giannantonio Selva (1751-1819) - architetto Fu sicuramente il più conosciuto fra gli architetti veneziani a cavallo tra...

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Giannantonio Selva (1751-1819) - architetto

Fu sicuramente il più conosciuto fra gli architetti veneziani a cavallo tra Sette e Ottocento, e uno degli esponenti di rilievo del movimento neoclassicista in architettura: d'altronde, fu amico fraterno di Antonio Canova, col quale trascorse gli anni della formazione a Roma. Oggi ricordiamo Giannantonio Selva essenzialmente per il progetto del teatro La Fenice (il primo per il quale ci si pose a Venezia la questione della realizzazione di una facciata), ma suoi furono anche la "Palazzina Selva", sorta a San Marco in luogo del Fonteghetto della Farina; la chiesa di San Maurizio e quella del Nome di Gesù (terminate del suo assistente Antonio Diedo) e il duomo di Cologna Veneta, oltre che la supervisione del progetto per il Tempio Canoviano di Possagno, Capolavoro del Neoclassicismo, per il quale coadiuvò il lavoro dell'amico Canova. Lavoro soprattutto in Veneto e altre sue opere si trovano disseminate nella regione.

Figlio dello scienziato e "ottico pubblico" della Serenissima Lorenzo Selva e di Anna Bianconi, nacque in parrocchia a San Zulian il 2 settembre 1751, e a Venezia (dove fu anche titolare della cattedra di Architettura dell'Accademia) fu allievo di Tommaso Temanza (a sua volta allievo di Giovanni Scalfarotto). Viaggiò in Belgio e in Olanda, visitò Londra e Parigi e - assieme ad Antonio Canova - risiedette a Roma dal 1778 al 1780; qui, su commissione del senatore Abbondio Rezzonico, realizzò la decorazione della sala da musica del palazzo del Campidoglio e si cimentò nell’addobbo della sala da ballo di Palazzo Venezia su incarico dell’ambasciatore della Repubblica Serenissima Girolamo Zulian. A questo periodo risale anche l'incontro con il letterato Ippolito Pindemonte, che gli dedicò l’ode "Al signor Giannantonio Selva veneziano, architetto illustre".

Eppure Selva ottenne solo nel 1786 il diploma per l’esercizio della professione di architetto, e già l'anno successivo fu nominato professore di architettura all’Accademia di Belle Arti di Venezia; la sua carriera fu coronata nel 1808 con la nomina a ingegnere direttore delle Fabbriche Comunali. A quel tempo Venezia era da tempo entrata a far parte del regno napoleonico d'Italia, e l'anno precedente - uno dei culmini della dominazione francese - Giannantonio Serva era stato incaricato della cura degli allestimenti effimeri (come il grande arco di trionfo in legno e cartapesta posto all'ingresso del Canal Grande) per l'entrata in città dell'imperatore.

Da membro della Commissione per la gestione urbanistica e architettonica della città fu incaricato di realizzare i giardini pubblici nel sestiere di Castello (per ottenere i quali furono abbattuti diversi edifici, incluse chiese e monasteri), di creare la via Eugenia (così chiamata in onore del viceré Eugenio Beauharnais - figlio di primo letto di Giuseppina, moglie di Napoleone - ottenuta con la tombatura di un lungo canale e oggi conosciuta come via Garibaldi) e di progettare il cimitero comunale sull'isola di San Cristoforo della Pace, inglobata più tardi a San Michele in Isola.

L'opera di Selva fu del tutto avulsa dall’idea di conservazione: sebbene cultore dell’architettura dei grandi maestri del passato, non si fece scrupolo di demolire o modificare le opere di chi lo aveva preceduto. Ciononostante risultò essere una personalità di spicco dell'ultima parte del Settecento e dei primi dell’Ottocento, non fosse altro per il suo edificio più celebre, il Gran Teatro La Fenice, per il quale - come si è detto - per la prima volta ci si pose il problema di edificare una vera facciata (visto che spesso i teatri erano ricavati all’interno di palazzi).

Al termine dei lavori comparve sul fronte il motto “Societas”, a indicare la società proprietaria, che i veneziani interpretarono subito come un ironico acrostico: “Sine Ordine Cum Irregularitate Erexit Theatrum Antonius Selva” (“Senza Ordine e Con Irregolarità Eresse il Teatro Antonio Selva”). Giannantonio Selva morì a Venezia il 22 gennaio 1819. Nella chiesa di San Maurizio una lapide commemorativa con il suo ritratto in tondo ne ricorda le fattezze ai posteri.

 

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Il Gazzettino