Oltre 200 persone in fila per entrare nel rifugio antiaereo di Lambioi: il Fai deve fare il bis

Oltre 200 alla scoperta del rifugio sotto la città
BELLUNO - Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato alle lunghe e angosciose notti del secondo conflitto mondiale quando per la città di Belluno risuonavano le...

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BELLUNO - Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato alle lunghe e angosciose notti del secondo conflitto mondiale quando per la città di Belluno risuonavano le sirene antiaeree. Una lugubre ambientazione in cui si respira ancora la paura delle tremila anime che, per ben ottocentododici volte, tra il 1944 e il 1945, la occuparono. Il silenzio e l’insistente stillicidio delle infiltrazioni nella fanghiglia che ricopre la pavimentazione di cemento rendono quasi spettrale il rifugio antiaereo di via Lambioi che il Fai, in risposta alle numerosissime richieste dei cittadini, ha deciso di aprire per la giornata di ieri. Un tutto esaurito da competizione: oltre duecento le prenotazioni tant’è che il Fondo Ambiente Italiano di Belluno ha già in programma una seconda visita per il mese di gennaio. Turni di mezz’ora alla scoperta delle gallerie progettate ed edificate, nel corso dei primi tre anni di guerra, da due ingegneri tedeschi.

LA STORIA

Fratello maggiore dei più noti, ma al contempo più piccoli, ricoveri in via Alzaia e di quelli scomparsi in via Lungardo, via Caffi e nelle vicinanze del ponte nuovo, sonnecchia, simile a una creatura mitologica, sotto la città da oltre mezzo secolo. Avvisi e annunci a caratteri cubitali scrutano i visitatori riposando sulle umide pareti e venendo disturbati solo da qualche pipistrello solitario. Raccomandazioni che, durante i semplici blitz degli alleati per liberare Belluno dalla Alpenvorland (instaurata come possedimento italiano del terzo Reich nel 1943) o nelle eterne giornate di attesa e incertezza, migliaia di cittadini, sempre che l’illuminazione non venisse interrotta, avranno letto e riletto fino allo sfinimento anche solo per non impazzire a causa dell’ansia che li avvolgeva. Uno spiraglio di luce si intravede in fondo all’ultimo scuro e claustrofobico corridoio: è l’uscita; la speranza, la gratitudine per essere ancora vivi, la fine di quei momentanei attimi di vicinanza con la morte. La campagna di Visome e il Piave si stagliano, come allora davanti alla cancellata in ferro battuto che fungeva da porta. Molto è cambiato da quel lontano 1945 ma il rifugio antiaereo è rimasto ad eterna testimonianza degli orrori portati dalla guerra. 

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Il Gazzettino