I rifugiati ucraini ospitati al padiglione Fassina: «Noi in fuga, finalmente al sicuro»

NOALE Due rifugiate ospitate al padiglione Fassina
VENEZIA  - Ora se non altro si sentono al sicuro. Finalmente al riparo da quei rumori dei raid aerei e dei bombardamenti che col passare dei giorni sentivano sempre...

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VENEZIA  - Ora se non altro si sentono al sicuro. Finalmente al riparo da quei rumori dei raid aerei e dei bombardamenti che col passare dei giorni sentivano sempre più vicini. “Grazie Italia”, dice Raissa, 34 anni, da 48 ore accolta al quarto piano del padiglione Fassina dell’ex ospedale di Noale, assieme al marito e ai loro cinque figli di 2, 7, 10, 12 e 15 anni. E’ uno dei tre hub scelti dalla Regione per l’emergenza Ucraina, riferimento per le province di Venezia, Padova e Rovigo. Soprattutto i bambini, quando li incontri lungo la corsia, fanno il pollice alzato e salutano con la manina. La bocca abbozza un sorriso: sono provati dallo stress emotivo dell’ultimo periodo, devono riposare e ristabilirsi. «Abbiamo viaggiato per quattro giorni. Siamo fuggiti perché a Cernivci, la nostra città, avvertivamo l’avvicinarsi dei soldati russi. Sono stati giorni terribili, ci siamo nascosti per proteggerci. Poi la decisione di partire, domenica scorsa», racconta Raissa. 


 

LA DECISIONE
La scelta di andare a Noale è stata dettata dal fatto che la mamma di questa, Anna, dal 2002 vive e lavora qui in zona come assistente familiare. Nel tempo ha seguito molti anziani, oggi abita a Mestre. «Trovavamo posti di blocco ovunque – riprende la giovane donna – Il primo sospiro di sollievo l’abbiamo potuto tirare quando siamo arrivati in Polonia. Siamo stati prima a Cracovia e poi a Varsavia, passando la notte in un centro profughi. Quindi abbiamo proseguito in treno fino a Vienna. E da lì alla stazione di Mestre». Gli addetti dell’Ulss 3 Serenissima li hanno accolti al binario e accompagnati a Noale, dove li hanno sottoposti ai controlli medici necessari, tampone anti Covid in primis (tutti negativi). 
 

LA SISTEMAZIONE
«Qui stiamo bene. Ci stiamo ambientando. Il bimbo più piccolo ha pianto tutto l’altro giorno, ma si sta tranquillizzando. Vi siamo tanto riconoscenti», affermano mamma e figlia. La permanenza al Fassina sarà al massimo di una decina di giorni: la struttura ha funzione di prima accoglienza, poi tutti gli ospiti vengono dirottati nelle loro destinazioni definitive secondo il piano coordinato dalla Prefettura. Carlo Longato, direttore del distretto di Mirano e Dolo dell’azienda sanitaria veneziana, fa da cicerone tra i corridoi e le stanze del vecchio ospedale riaperto un anno e mezzo fa per l’emergenza Covid e che da ieri ha portato a 50 i posti letto disponibili per i rifugiati in fuga dalla guerra, aprendo anche il primo piano in aggiunta al quarto, sui cinque totali. 


I PRIMI ARRIVI


«Il primo gruppo è stato di 21 persone, con bambini e qualche disabile. Collaborano con noi la Croce rossa, le Unità speciali di continuità assistenziale, la guardia medica. Abbiamo addette e assistenti di origini ucraine che si sono messe a disposizione per la traduzione, per comunicare meglio». Anna fa da interprete e spiega: «Non vedevo mia figlia e la sua famiglia da un anno. Nei giorni scorsi li ho sentiti solo quando hanno potuto prendere un telefono in Polonia», riferendo di avere un altro figlio rimasto nel suo Paese e un nipote già impegnato al fronte nei combattimenti. «Siamo stati invasi, mentre noi non abbiamo mai aggredito alcuno. Per ora i nostri resistono, ma abbiamo paura che questo incubo non finisca più», prosegue la donna che con gli occhi lucidi ci tiene a sottolineare: «Abbiamo ricevuto un’accoglienza straordinaria, ringraziamo il Signore. Anche tutte le famiglie dove ho lavorato mi hanno offerto aiuto». Oltre alle camere, con le vecchie testiere da ospedale, al Fassina sono state ricavate delle stanze da soggiorno, con la tv che trasmette i cartoni animati, giochi, peluche, fogli e colori. Tanti benefattori stanno donando un po’ di tutto. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino