Papà di 37 anni costretto a fare il rider per sopravvivere: «Non è vita, siamo governati da un'applicazione che decide tutto»

Un rider
PORDENONE - Paolo (il nome è di fantasia perché la persona che ha scelto di portare la sua testimonianza ha chiesto di mantenere l'anonimato per ragioni...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

PORDENONE - Paolo (il nome è di fantasia perché la persona che ha scelto di portare la sua testimonianza ha chiesto di mantenere l'anonimato per ragioni professionali), ha 37 anni e due figli. È nato in Sardegna, ma da tanti anni vive in Friuli Venezia Giulia. Non ha una sede prescelta per il proprio lavoro: negli ultimi anni si è spostato praticamente ovunque, seguendo la scia delle consegne. Trieste, Pordenone, Udine, Gorizia. Ovunque. «Perché io possono anche mangiare pasta e aria, ma i miei figli no. Non lo permetterei mai».

IL PROFILO
Paolo, ma ormai si sarà capito, è un rider che opera in Friuli Venezia Giulia. Fa parte del cosiddetto gruppo degli italiani, che fa concorrenza - leale, normale - alla più folta rappresentanza di fattorini di origine straniera. Ma anche agli studenti. La storia del 37enne infatti è diversa. «Non faccio il rider per arrotondare - è la sua testimonianza lancinante -: io questo lavoro lo devo fare per sopravvivere. E senza lo stipendio di mia moglie non so nemmeno se riuscirei a sbarcare il lunario».
La sua storia da rider inizia - come molte altre - durante la pandemia. Non siamo proprio nel primo lockdown, quello duro, ma nella fase delle regioni a colori. Nell'autunno del 2020 anche il Friuli Venezia Giulia precipita in zona arancione a causa della cosiddetta seconda ondata. E i ristoranti tornano a chiudere. «Mi serviva un lavoro, in pochi giorni ho deciso e ho preso la bicicletta per portare il cibo a domicilio», racconta oggi Paolo. Le prime pedalate? A Trieste. Così, giusto per farsi le ossa nella città con più saliscendi di tutta la regione. «Da quel giorno - spiega ancora il 37enne rider che racconta la sua storia - ho girato quasi tutti i marchi: Deliveroo, Glovo, Uber. Tutti. E non ho un contratto vero e proprio. Sono una partita Iva». Paolo quindi fa parte della categoria più svantaggiata, quella legata solo al trillo dell'algoritmo che decide dove devi andare e in quanto tempo devi arrivare alla porta del cliente. Zero tutele, zero protezioni.

I MOMENTI DURI
Paolo lo dice apertamente, non si nasconde. «Perché non provo vergogna», spiega. «Il mio stipendio medio, nei periodi normali arriva a circa 160 euro a settimana. Ripeto, senza mia moglie non credo ce la farei». Ma non è nemmeno la paga, il problema più importante nella vita di Paolo. «È il lavoro ad essere a tratti tremendo - confessa -. Io sono di fatto sempre sulla strada, non ci sono grandi soste: con la pioggia, con la bora di Trieste, con il freddo di altre zone della regione che ho frequentato. Alla lunga non si resiste, ma devo farlo per i miei due figli. E le persone ci chiedono di essere sempre più veloci, di correre di più». Le persone di cui parla Paolo sono i clienti, abituati alla comodità della consegna a domicilio e sempre più pretenziosi. «Dobbiamo stare attenti, perché rischiamo ogni giorno di farci male davvero». Cosa che è capitata a Paolo tempo fa: «A dicembre del 2021 - racconta - c'era una pioggia incessante, il mio impermeabile non reggeva. In quel momento sono finito contro una macchina. Ho dovuto anche pagare i graffi che l'auto aveva riportato, oltre ai danni alla bici e al mio impermeabile».

LE RIVENDICAZIONI


«Non è vero che quello che faccio è un lavoro autonomo - alza la voce il rider che opera in Friuli Venezia Giulia -, siamo governati da un'applicazione che decide tutto. Se sono stanco, devo lavorare. Se ho la febbre, devo lavorare. Non ho la malattia, non ho giorni liberi: se me li prendo non mi pagano. E c'è una competizione folle con gli altri rider per prendere l'ultima consegna». E ovviamente portarla a termine più velocemente di quella prima. Perché altrimenti sai le lamentele del cliente...

     Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino