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PORDENONE - Non c’è prova che le donazioni all’associazione no profit Fondazione Italia Impresa e futuro, fondata per aiutare famiglie bisognose, fossero al centro di operazioni di riciclaggio. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale non hanno trovato conferma i sospetti che i capitali, inviati in Cina o in Russia attraverso fatture per operazioni inesistenti, fossero illeciti e rientrati in Italia sotto forma di donazioni. La mancanza di elementi sufficienti a dimostrare che si trattasse di un meccanismo ideato per riciclare denaro sporco ha portato il collegio presieduto dal giudice Eugenio Pergola ad assolvere, con formula dubitativa, Roberto Gasparotto, 71 anni, pordenonese; Carmine Truppa, 52, domiciliato a Pordenone ed Elisa Perinel, 42, di Casarsa. Il fatto - come hanno insistito i difensori Cristina Del Frate, Antonio Favruzzo e Luca Malacart - non sussiste. I giudici hanno anche disposto la restituzione di 264mila euro che erano stati sottoposti a sequestro preventivo nella fase preliminare delle indagini.
L’ASSOCIAZIONE
L’associazione - creata l’8 aprile 2019 - aveva tre conti correnti: uno era stato aperto all’Unicredit di Casarsa e due alla FriulOvest Banca di San Giorgio della Rinchinvelda.
I DUBBI
L’indagine si era chiusa lasciando dei punti interrogativi, in quanto non era stato possibile individuare né gli eventuali imprenditori cinesi che si sarebbero prestati a “lavare” il denaro all’estero né il reale quantitativo di soldi movimentati. Un interrogativo a cui non è stato possibile dare una risposta nemmeno al processo, dove non è stata chiarita né la provenienza illecita delle donazioni all’associazione no profit né chi effettivamente movimentasse il denaro.
LA DIFESA
La posizione di Perinel era marginale. «Era stata coinvolta nel progetto di un’associazione nata per aiutare famiglie bisognose - ha spiegato l’avvocato Malacart - Dopo un mese, uno dei direttori delle banche si è insospettito e l’ha convocata facendole presente che c’erano delle anomalie: non si trattava di donazioni di 100 o mille euro, ma di offerte da 40/50mila euro al colpo. È stata assolta perché non aveva coscienza circa la provenienza delle donazioni. Più che nel ruolo di imputata, avrebbero dovuto ritagliarle quello di parte offesa». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino