VENEZIA La selva delle riaperture assomiglia sempre più a un ginepraio. Da una parte le pressioni delle categorie economiche, preoccupate di ripartire quanto prima;...
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I NUMERI
Secondo le stime fornite dai prefetti, da martedì in Veneto riapriranno migliaia di fabbriche (per dare un’idea: altre 2.500 nel Trevigiano e altrettante nel Veneziano, ulteriori 1.700 nel Padovano), riaccendendo complessivamente la produzione nel 50% delle ditte, con oscillazioni a seconda delle dimensioni «Non basta – lamenta però Agostino Bonomo, presidente regionale di Confartigianato – perché il 60% delle aziende artigiane resta fermo e rischia di non ripartire più. Per questo ci attendiamo nei prossimi giorni ulteriori interventi. Il danno economico della situazione non ha precedenti». L’associazione ha fatto i conti: dopo Pasquetta ci saranno 4.639 nuove aperture, che sommate a quelle già abilitate dai precedenti decreti, porteranno a 53.678 il totale delle ditte artigiane, coinvolgendo altri 11.110 lavoratori e quindi in tutto 150.580.
«Ma in 5.000 ispezioni che hanno coinvolto 216.000 addetti, gli Spisal hanno accertato zero irregolarità», ricorda Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, a Radio Capital. «Ai disgraziati che ci danno dei macellai con le mani sporche di sangue – aggiunge – dico che bisogna ribaltare il punto di vista: chi lavora in sicurezza in aiuto al sistema-Paese, come avviene oggi negli ospedali, deve lavorare, non può, altrimenti questo Paese va a ramengo». Rincara la dose Maria Cristina Piovesana, numero uno di Assindustria Veneto Centro: «È incomprensibile il perché si sia scelto di riaprire certe aziende e non altre».
L’ABBIGLIAMENTO
L’esclusione del sistema moda, che in Veneto conta 7.000 ditte e 80.000 dipendenti, di cui rispettivamente 4.582 e 25.468 relativi alle Pmi, indigna Roberto Bottoli, coordinatore del tessile-abbigliamento di Confindustria Veneto: «Il nostro grido d’allarme era stato correttamente recepito dalla Regione, ma alla fine non è stato ascoltato dal Governo, lasciando il settore nello sconcerto e in ginocchio. Tutta la filiera stava ormai lavorando alla produzione invernale, che è la più importante dell’anno: quindici giorni di fermata determinano un ritardo nelle consegne, ma altre tre settimane di stop significano l’annullamento di ordini che poi non sono più recuperabili. Oltretutto pure la successiva stagione estiva verrebbe ulteriormente compromessa. Qui non parliamo di una semplice perdita di fatturato, ma di una possibile ecatombe delle imprese piccole e medie. Ribadiamo che il nostro sistema è pronto e attrezzato per seguire tutte le prescrizioni sanitarie previste e anche ad applicarne di più severe, basta che ci facciano ripartire».
IL PERICOLO
Christian Ferrari, segretario regionale della Cgil, è però preoccupato per il rischio di una ripresa del contagio: «Parole troppo leggere come quelle pronunciate dal presidente Zaia, tipo “il lockdown in Veneto non c’è più”, rischiano di trasmettere un messaggio molto pericoloso, perché potrebbero essere lette come il “liberi tutti”. Come sindacati siamo disponibili ad utilizzare tutto il tempo che ci separa dalla riapertura, che non può essere stabilita né dagli industriali, né dal presidente della Regione e nemmeno da noi, per farci trovare pronti a quell’appuntamento, operando per garantire la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori».
Il triestino Stefano Patuanelli, ministro pentastellato allo Sviluppo Economico, prova a mediare sull’Huffington Post: «Da ambo le parti ha sempre prevalso il grande senso di responsabilità dinanzi a una pandemia che ogni giorno impone di cercare e trovare nuovi equilibri. Però è bene chiarire un concetto: gli imprenditori non sono untori, e senza imprese questo Paese non può ripartire». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino