Cantone: «Giustizia fiscale? Così non va: troppo alto il rischio di corruzione»

Raffaele Cantone
«La non-riforma della giustizia tributaria, e l’affidamento dei processi alla magistratura onoraria è uno dei problemi del Paese e mostra oggi tutti i suoi...

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«La non-riforma della giustizia tributaria, e l’affidamento dei processi alla magistratura onoraria è uno dei problemi del Paese e mostra oggi tutti i suoi limiti». Non ha mezzi termini il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, chiamato ad esprimersi sui fatti rilevati dalla Procura di Venezia, con un utilizzo abnorme degli strumenti del contenzioso tributario. Il fatto che la giustizia tributaria funzioni male è assodato, tanto che il Governo è stato costretto ad arrivare alla “rottamazione” delle cartelle perché Equitalia arrivava sempre prima che venissero definite le istanze di sospensione.


Ciò che è finora emerso dalle carte processuali riguarda un ricorso assolutamente distorto dell’istituto della conciliazione, sia prima che dopo l’accertamento, quando il contribuente può decidere di impugnare l’atto dell’Agenzia delle Entrate di fronte alla Commissione Tributaria provinciale. Soprattutto nella prima fase, il funzionario dell’Agenzia propone una sorta di “patteggiamento” al contribuente in modo molto riservato e con la possibilità di arrivare allo sconto di un sesto del totale, cioè il 16,7 per cento. Nei fatti rilevati dalla Procura di Venezia e poi dal giudice per le indagini preliminari, in alcuni casi si è arrivati allo sconto dell’80 per cento dopo l’accertamento e con giudizio tributario di primo grado pendente.

Dottor Cantone, non crede che il quasi obbligo di conciliazione e accordo stragiudiziale lasci un margine di discrezionalità troppo elevato ai funzionari dell’Agenzia, soprattutto nella fase pre-accertamento?
«Questa forma di conciliazione credo sia oggettivamente rischiosa per gli effettui corruttivi a cui potrebbe portare. D’altra parte, essa ha avuto un effetto molto importante e positivo sul recupero di gettito a favore del Fisco».

Nessuno lo nega, perché altrimenti imposte e sanzioni sarebbero introitate chissà quando. Ma il gioco vale la candela?
«I rischi sono oggettivi, ma è il controllo che va rafforzato, anche sotto il profilo giudiziario. Il vero problema è infatti la riforma della giurisdizione tributaria».
Un’altra riforma incompiuta. Cosa auspicherebbe il presidente dell’Anac?
«Ritengo che la giustizia tributaria debba essere riportata alla giurisdizione ordinaria, e anche togata. È un paradosso che una delle forme di giustizia più importanti sia organizzata ancora con la logica di giudici onorari e giudici che non fanno questo lavoro a tempo pieno».
Uno dei grandi problemi è l’alta percentuale dei ricorsi tributari che finiscono in Cassazione: oggi il 47% del totale del contenzioso civile è tributario e si stima che si arriverà presto al 65%. Quindi, un problema anche di qualità delle sentenze.
«Il problema va posto con grande forza, riportando la giustizia tributaria nell’alveo della magistratura togata. E questo porterebbe come effetto, oltre anche a un controllo più rigoroso sugli istituti della conciliazione».
Cambiamo argomento. Fu lei a far insediare i commissari nel Consorzio Venezia Nuova dopo lo scandalo Mose. Oggi i commissari decidono di non utilizzare le imprese che finora hanno lavorato (alcune delle quali coinvolti nella vicenda delle tangenti) e di fare una gara europea, rischiando di provocare un forte impatto sociale, con centinaia di posti di lavoro in fumo.

«Per ovvie ragioni non posso entrare nel merito e non conosco questo aspetto. Dico però che il Consorzio era stato salvato dalla Commissione europea sul presupposto che una parte degli appalti fosse messa a gara. Finora questo era stato un po’ aggirato. E ora credo che i commissari si sentano in dovere di far rispettare questa statuizione. E poi, ritengo che l’utilizzo della gara sia la prova di una discontinuità rispetto al passato». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino