TREVISO - Un pezzo degli Stati Uniti si è innamorato del radicchio. Tanto che in Oregon, sulla sponda dell’oceano Pacifico, hanno iniziato a coltivarselo. E sono...
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Il nodo più grande sta nel fatto che spesso chi coltiva radicchio in Oregon spende i nomi di Treviso, Castelfranco, Chioggia e così via. «Per noi è intollerabile», sottolinea il presidente. Anche perché da tempo il consorzio sta cercando di allargare l’esportazione del radicchio proprio negli Usa, affrontando i problemi di trasporto e costi. Passi pure che degli agricoltori statunitensi abbiamo deciso di coltivarselo direttamente, magari senza usare i nomi di Treviso, Castelfranco e Chioggia. Ma arrivare a insegnare a loro come farlo, è troppo. I tentativi da oltreoceano non mancano mai. Questa volta i produttori a stelle e strisce sono stati invitati nella Marca da un’azienda che produce e vende loro macchine agricole. In altre occasioni erano stati chiamati da società di sementi esterne al consorzio e pure da un Comune. E alla nuova richiesta di far visitare le aziende a un gruppo di americani, il consorzio di tutela ha risposto all’unisono in modo negativo. «È chiaro che negli Stati Uniti hanno capito le potenzialità di un prodotto di eccellenza. Ma mi sembra molto controproducente e contrario a tutte le azioni di promozione e tutela dare know how a produttori fuori zona – sottolinea Tosatto invitando i produttori di radicchio di Treviso a diffidare da simili iniziative – soprattutto in zone dove da anni si cerca di aprire un mercato di commercializzazione. Così si danneggia tutta la filiera. Non può esistere».
Il punto fermo è che il consorzio, con quasi 150 aziende e una produzione media che si aggira sulle 1.000 tonnellate all’anno, tutela e valorizza i prodotti a marchio riconosciuti dall’Ue e protetti da mandato esclusivo della Regione e del ministero dell’Agricoltura. C’è stata una campagna per la protezione dei nomi a livello internazionale. Usa e Russia, però, non l’hanno accolta. Si potrebbe avviare un’azione legale. Ma non ci sono le risorse per imboccare una strada del genere. «Non abbiamo nulla da nascondere. Il processo di produzione è noto e chiaro a chiunque abbia il piacere di informarsi a riguardo, ma è fondamentale comprendere che dietro a una cicoria come il radicchio di Treviso c’è oltre un secolo di esperienza data dal lavoro dei produttori e dal territorio: le proprietà intellettuali tutelate fin dal 1996 dal marchio Igp non devono essere svendute». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino