Rovigo. Visite a lume di candela per protestare contro l'abbandono in cui si trovano i medici di base

ROVIGO - Un clima molto natalizio, con le luci spente e le candele a illuminare gli ambulatori. In realtà non era un modo per festeggiare le festività imminenti,...

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ROVIGO - Un clima molto natalizio, con le luci spente e le candele a illuminare gli ambulatori. In realtà non era un modo per festeggiare le festività imminenti, bensì una manifestazione simbolica che dalle 17 alle 17.15, si è tenuta simultaneamente negli ambulatori di tutta Italia, per accendere i riflettori sulle difficoltà che stanno attraversando in questo momento i medici “di famiglia”. «Queste candele stanno a simboleggiare che la medicina generale si sta lentamente spegnendo e speriamo che non si spenga anche l’assistenza ai pazienti» spiegano il dottor Massimo Di Fiore e la dottoressa Sara Zorzan della Medicina di gruppo integrata Commenda di Rovigo.


La situazione è buia. «La criticità sono tante - rimarca Di Fiore - i carichi di lavoro aumentano sempre di più, così come l’impegno burocratico che sottrae tempo da dedicare ai pazienti, ma a crescere sono anche i costi, con i rincari energetici e l’inflazione. Alcune medicine integrate, in Polesine, operano in locali messi a disposizione dall’Ulss, come ad Adria, a Trecenta e a Badia, ma in altre, come questa, i costi sono a carico dei medici, come avviene nella stragrande maggioranza degli ambulatori singoli. E ormai la spesa per alcune prestazioni supera le remunerazioni, anche perché i tariffari sono fermi a 25 anni fa. Tanto per dirne una, una medicazione con sutura viene retribuita 6 euro, quando solo il filo ne costa 12. Dovrà essere riaggiornato il tariffario, ma in generale serve più attenzione ai medici che lavorano sul territorio».

CONDIZIONE IBRIDA
Quella dei medici di medicina generale è una condizione ibrida, liberi professionisti in regime di convenzione con il sistema sanitario per offrire un servizio pubblico. «Eppure - spiega ancora il dottore - la medicina generale è stata dimenticata sia nei provvedimenti dedicati al ristoro dei dipendenti pubblici, con un’indennità una tantum per il 2023, sia da quelli del decreto legge Aiuti quater a favore di imprese e liberi professionisti. Ma la politica, tutta senza distinzione di colori, ha anche altre responsabilità, come quella della mancata programmazione che ci porta oggi a vivere una situazione di carenza di medici. Adesso si sta tamponando e i pazienti stessi sono consapevoli delle difficoltà e ci dicono di tenere duro, però effettivamente bisogna anche fare in modo da rendere attrattiva la medicina generale, perché altrimenti i giovani prendono altre strade, come quelle che portano all’estero, dove gli stipendi sono più alti, o verso il privato. Ma così si spegne il servizio di prossimità».

LA PANDEMIA
Una prossimità apparsa in tutta la sua importanza in tempi di Covid, con il virus che continua ad aleggiare: ieri nel bollettino regionale si dava conto di altri 206 contagi in Polesine, nonché di un’ulteriore vittima. «Qui - nota Di Fiore - durante la fase più critica della pandemia abbiamo retto, grazie anche a strutture come questa, e siamo riusciti a fare filtro, tamponare e soprattutto a portare avanti il tracciamento. Ci sono stati giorni che rimanevo in studio fino a mezzanotte o l’una a chiamare i pazienti. Non a caso in Lombardia, dove i medici non hanno le medicine integrate, sono stati travolti come uno tsunami. Le medicine integrate vanno implementate e soprattutto sorrette».
Un’occasione potrebbero essere le Case di comunità, cardine dalla riforma prevista dal decreto 77 del ministero della Salute del maggio scorso e finanziata da Pnrr. In Polesine sono arrivati oltre 15 milioni per trasformare in Casa di comunità il Punto sanità di Badia e quello di Castelmassa, il Centro sociosanitario di Porto Tolle, la sede del Distretto di Adria e la cittadella sociosanitaria di Rovigo.


«Questa è un’occasione da cogliere - sottolinea il dottor Di Fiore - perché le Case di comunità non devono essere solo muri e bisogna capire bene chi farà cosa. Sarebbe auspicabile che non cadano provvedimenti e decisioni dall’alto, che tutto venga condiviso con chi sta sul territorio e fra i pazienti: i medici di medicina generale gradirebbero far parte dello sviluppo di questa progettualità e non subirla, ma per ora i segnali sono contraddittori».

 

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Il Gazzettino