Protesta choc, allevatore espone in centro l'asina sbranata dal lupo

Un’asina sbranata viva dal lupo campeggiava ieri sulla rotonda di Farra, in comune di Alpago con il cartello: «Benvenuti in Alpago, dove la montagna muore soffocata...

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Un’asina sbranata viva dal lupo campeggiava ieri sulla rotonda di Farra, in comune di Alpago con il cartello: «Benvenuti in Alpago, dove la montagna muore soffocata dal lupo e dalle sciocche leggi che la proteggono». L’azione dimostrativa era dei gestori di Malga Mezzomiglio che hanno portato la carcassa. Ma non era l’unica vittima di ieri: l’altra è stata ricucita sul posteriore e, se supererà le prime ore, non verrà soppressa. Altri due asini sono stati dispersi cinque giorni fa e una testa è stata ritrovata in una malga vicina a Mezzomiglio. A parlare è Nico Casagrande, 30 anni, origini dell’Alpago ma nato a Vittorio Veneto che ieri ha messo in atto questo atto di protesta. Laureato in Svienze agrarie e tecnico del settore lattiero caseario, da un paio d’anni si trova, con Manuel De Prà, 29 anni di Spert, a malga Mezzomiglio in località Spert (c’è un laboratorio polifunzionale per la trasformazione di insaccati e latticini), dopo aver maturato esperienza anche in Comelico. Attualmente i due gestori hanno una ventina di vacche da latte, una cinquantina di capre da latte e un numero variabile tra asini, cavalli e maiali. Il territorio della malga comprende circa 70, 80 ettari di pascolo e una decina a prato pascolo. 


LA PROTESTA
L’atto di ieri è stato fatto «perché la gente si renda conto del problema». È stato infatti lo stesso Casagrande ad avvisare chi di dovere, i carabinieri forestali e il veterinario, “autodenunciandosi” e «ovviamente provvederemo alle spese di smaltimento». Alle domande, sulle recinzioni elettrificate risponde: «Non sono un aiuto per l’allevatore per la difesa dai grandi predatori, anche il cane più scarso le riesce a saltare. Figurarsi il lupo. Pensate che non riesca a superare questo ostacolo o farlo superare attraverso la paura agli animali dentro rinchiusi? Esistono anche reti da 180 centimetri, ma non sono adatte alla montagna, dove i recinti si portano a mano». E poi ci sono i cani da guardiania: «Non sono dei soldati antilupo». 

L’EMERGENZA
Il problema segnalato da Nico Casagrande è quello legato al mestiere dell’allevatore moderno, fatto non solo di accudire gli animali e produrre i prodotti lattiero caseari, ma l’aspetto burocratico. «Più volte ho dormito insieme agli animali, anche ieri sera. Ma ci sono impegni e scadenze da rispettare. Non mi esprimo sul Piano antilupo, ma faccio notare che c’è il fatto di voler a tutti i costi far convivere, in un tempo solo, gli allevatori di montagna di due epoche diverse: quelli che vivevano solo con il pascolo e quelli, invece, che vorrebbero che continuassimo di fare gli allevatori al passo coi tempi. Ma è il carico burocratico che non permette di conciliare le due situazioni». Le soluzioni sono due, per Casagrande: «O si decide che dobbiamo difenderci dal lupi o cambiare il modo di fare zootecnica. Noi allevatori di montagna, da generazioni, cerchiamo di sopravvivere cercando un colloquio con la natura e siamo sottoposti al giudizio e all’opinione di chi vive in un mondo artificiale, modificato lontano dalla montagna». Per dirla in dialetto «non si parla solo perché si studia, “la pratica la val pì della grammatica”». Se le zone montane rimangono pulite, inoltre, «è grazie agli hobbisti, perché chi ha grandi numeri fatica a raggiungere quei piccoli appezzamenti che solo chi ha pochi animali riesce a curare». Poi ci sono le tradizioni. Il suocero di Nico Casagrande, da generazioni, porta le pecore al pascolo libero sulle Pale del Messer. Lì è si cono «praterie alpine con pendenze elevatissime», impossibile recintare, perché si hanno solo 2, 3 centimetri di terra, il resto sono sassi o lastre.

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Il Gazzettino