Cittadino afgano senza documenti riesce a diventare lo stesso italiano: ecco come ha fatto

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Non è legittimo che lo Stato neghi la cittadinanza italiana a un afgano già beneficiario di protezione internazionale sussidiaria soltanto perché non è...

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Non è legittimo che lo Stato neghi la cittadinanza italiana a un afgano già beneficiario di protezione internazionale sussidiaria soltanto perché non è in grado di esibire i certificati di nascita e residenza e un documento che attesti eventuali precedenti penali o carichi pendenti. Lo ha sancito il Tribunale amministrativo regionale, presieduto da Oria Settesoldi, con una sentenza che soltanto all’apparenza sembra simile alle centinai di altre che ogni anno vertono sulla materia dei richiedenti asilo e dei destinatari di protezione. In realtà stabilisce una linea di portata generale in tema d’immigrazione di cittadini non comunitari.


I giudici, che hanno accolto un ricorso proposto dall’avvocato Susanna Angela Tosi, hanno annullato il provvedimento con il quale la Prefettura di Trieste ha respinto la domanda di cittadinanza italiana. La decisione è maturata muovendo dalla premessa che sia possibile estendere anche ai beneficiari della protezione sussidiaria alcune disposizioni di un circolare che risale addirittura al 23 dicembre 1994, a suo tempo emanata a favore degli apolidi e dei rifugiati politici e “volta a semplificare gli oneri di produzione documentale nel procedimento per ottenere la cittadinanza italiana”, come rammenta il Tar. 


LA CIRCOLARE


In base a tale circolare, infatti, le persone che si trovino nella condizione del ricorrente afgano “possono essere esonerate dall’esibizione degli atti esteri originali (atto di nascita e certificato penale)” e limitarsi a presentare, assieme alla domanda, “una dichiarazione, sottoscritta con firma autenticata, con la quale l’interessato attesti di non aver riportato condanne penali né di avere procedimenti penali in corso nel Paese di nascita e in quelli esteri in cui risulta aver risieduto”. Quanto alla situazione di un afgano “protetto”, i magistrati amministrativi ricordano che “è nota l’attuale situazione politica dell’Afganistan, che dopo il ritiro delle forze internazionali, nell’agosto del 2021, ha visto il ritorno al potere dei Talebani e il ripristino di un regime totalitario e teocratico”. Pertanto “non è allo stato ipotizzabile un ritorno del ricorrente al Paese di origine al fine di ottenere la documentazione richiesta”. La Prefettura, peraltro, sosteneva le ragioni del no alla cittadinanza italiana anche con la circostanza che l’afgano non avesse contattato la rappresentanza diplomatica del regime talebano in Italia. 


IL VERDETTO


Su tale aspetto il Tribunale è stato tranciante, considerato che le autorità italiane non accettano i certificati afgani “per l’inaffidabilità delle fonti”. Come dire che contattare le autorità talebane sarebbe stato del tutto inutile, come le Prefetture e il Ministero dell’Interno dovrebbero ben sapere. Come si è detto, il verdetto del Tar manifesta in realtà un portata generale, “non potendo ammettersi che al ricorrente (e in generale ai cittadini afghani) sia precluso a tempo indeterminato l’acquisto della cittadinanza”, annotano i giudici, aggiungendo che “appare opportuno estendere il regime di produzione documentale dettato a favore dei rifugiati politici anche ai beneficiari di protezione sussidiaria che siano assolutamente impossibilitati ad ottenere gli atti esteri in originale”. Tutto questo, si legge ancora nella sentenza, sulla scorta del principio fondamentale secondo il quale “ad impossibilia nemo tenetur”: nessuno è tenuto a fare l’impossibile. 

 

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Il Gazzettino