Il trafficante di droga non può essere processato: manca l'interprete di urdu

(archivio)
VENEZIA - È caccia all’interprete negli uffici giudiziari. Chiunque viene arrestato in Italia ha infatti diritto ad ottenere la traduzione dei capi d’accusa nella...

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VENEZIA - È caccia all’interprete negli uffici giudiziari. Chiunque viene arrestato in Italia ha infatti diritto ad ottenere la traduzione dei capi d’accusa nella propria lingua: a sancire questo principio di civiltà - più volte ribadito in sede europea - è il decreto legislativo 101 del 1° luglio 2014.




Ma, da quando la legge è entrata in vigore, lo scorso 16 agosto, sono iniziati i problemi. Gli uffici giudiziari devono far fronte al nuovo adempimento senza adeguati mezzi, né risorse economiche supplementari: così ogni giorno le cancellerie sono costrette a dedicare ore alla ricerca di un interprete per poter celebrare udienze di convalida e processi per direttissima. Quando l’indagato proviene da Paesi "conosciuti", le difficoltà sono facilmente superabili, poiché vi è la consolidata disponibilità di numerosi interpreti di inglese, francese, tedesco, ma anche di cinese, arabo, russo. Ma, sempre più spesso, a finire in manette sono stranieri che provengono da villaggi remoti di Africa o Asia e parlano soltanto lingue o dialetti poco diffusi: ed è allora che la situazione si fa seria. Ne sanno qualcosa alla cancelleria Gip del Tribunale di Venezia che, da un paio di giorni, sta cercando senza risultato un interprete in grado di tradurre l’urdu, una delle 12 lingue del Pakistan (è lingua nazionale ma la maggior parte della popolazione parla la lingua Punjabi) per poter capire cosa dice un trafficante di droga arrestato all’aeroporto, "imbottito" di ovuli di eroina, e per informarlo dei suoi diritti.



In precedenza era sufficiente una persona in grado di tradurre verbalmente le domande del giudice e dei difensori e le risposte dell’indagato: dunque un connazionale con qualche anno di permanenza in Italia e una discreta conoscenza della lingua parlata, disponibile a mettersi a disposizione in cambio di un compenso piuttosto modesto.



Oggi, invece, all’interprete viene chiesto di tradurre per iscritto, dall’italiano alla lingua dell’arrestato, i documenti giudiziari, tra cui l’ordinanza di custodia cautelare; il tutto in pochi giorni. Un lavoro che richiede capacità e competenze ben superiori e che, di conseguenza, limita il numero dei possibili traduttori a disposizione degli uffici giudiziari. La "caccia" all’interprete è soltanto all’inizio. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino