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MESTRE - In occasione delle udienze di ieri - 2 marzo - e di quelle in programma i prossimi giovedì (9, 16 e 23 marzo) ai giornalisti sarebbe stato vietato accedere all’interno dell’aula nel quale va in scena, ormai da quasi tre anni, il processo a Luciano Donadio e agli altri protagonisti della presunta estensione del clan camorristico dei casalesi a Eraclea. A dirlo un provvedimento firmato dalla questura di Venezia arrivato ieri mattina alla guardiola del bunker di Mestre, teatro scelto per il dibattimento contro i casalesi del Veneto orientale.
Il motivo? Nel provvedimento si parla di un processo che si svolge in “camera di consiglio” e quindi a porte chiuse, come previsto dal codice. Cosa che però non era, né è: il processo al clan Donadio è celebrato come un qualsiasi dibattimento ordinario, a porte aperte. Ci ha pensato il giudice del tribunale Collegiale, Stefano Manduzio, a sbrogliare la matassa: letto il dispositivo ed essendo lui il responsabile di ciò che succede in aula, ha decretato che la stampa restasse in aula come sempre successo nelle oltre cento udienze passate, quando sul banco dei testimoni c’erano pentiti, collaboratori di giustizia o lo stesso Luciano Donadio.
Settimana scorsa come ieri, nel giorno in cui a rispondere alle domande di avvocati e pubblici ministeri c’era l’ex capo della Mobile di Venezia e attuale questore di Napoli, Alessandro Giuliano, figlio del capo della Mobile di Palermo assassinato da Cosa nostra il 21 luglio 1979; o ci sarebbero dovuti essere il questore di Monza-Brianza, Marco Odorisio, anche lui passato per la direzione della Mobile lagunare e l’ex dirigente della Digos di Venezia, Diego Parente.
All’interno dell’aula si davano il cambio tre uomini delle forze dell’ordine a volta mentre all’esterno ecco altri poliziotti e carabinieri di ronda. Una stretta sulla sicurezza derivata - con ogni probabilità - dalla presenza in aula del presunto boss Luciano Donadio, scarcerato a inizio febbraio dopo che il Collegio aveva considerate non più necessarie le esigenze cautelari che lo tenevano in cella dal 19 febbraio 2019. Libero lui come altri dodici imputati, tutti sempre presenti nelle udienze. Ad alzare il livello di tensione potrebbe aver giocato un ruolo decisivo anche i fuochi d’artificio sparati nel cielo di Eraclea la sera della scarcerazione del presunto boss: una mossa che ha catapultato a Eraclea le scene già viste in altre cittadine dove la liberazione del boss di turno viene festeggiata con uno spettacolo pirotecnico. L’appuntamento è tra una settimana quando sono chiamati come testimoni della difesa gli ex prefetti di Venezia Carlo Boffi, Domenico Cuttaia, Michele Lepri Gallerano e Luciana Lamorgese, ex ministro dell’Interno che negò lo scioglimento del Comune di Eraclea per mafia. L’aveva chiesto l’ex prefetto Vittorio Zappalorto, anche lui testimone.
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