VENEZIA - Si sapeva. Perché lo dicono gli atti con cui la procura Antimafia di Venezia lo accusa di essere il boss dei casalesi nel Veneto orientale. E anche perché...
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LE PRESSIONI
A scucire di bocca le parole a Sgnaolin è l'avvocato dello Stato, parte civile nel processo. «Donadio aveva diverse conoscenze con i carabinieri locali di Eraclea - ha detto Sgnaolin - andavano loro a chiedere a lui di sistemare delle cose soprattutto con spacciatori o gente che faceva casino». Secondo il pentito, i carabinieri «chiedevano (a Donadio, ndr) se poteva intervenire. E poi posso garantire che poco dopo gli spacciatori erano spariti, soprattutto i marocchini». Un comportamento che i militari dell'Arma tenevano ad Eraclea «anche per futili motivi per i quali era difficile passare per la giustizia, era più facile rivolgersi a Donadio - ha continuato Sgnaolin - Donadio aveva un buon rapporto con un ex carabiniere che gli dava anche informazioni: una volta ci aveva detto che eravamo indagati. Donadio, poi, sapeva in anticipo anche i controlli della guardia di finanza, quindi aveva qualcuno che gli diceva delle cose».
Un'eminenza grigia a cui tutti ricorrevano («Avere la protezione di Donadio voleva dire che nessuno toccava quelle persone: poteva difenderle con la forza», ha detto Sgnaolin) e che, per l'accusa, si era spinto fino a influire in modo decisivo sulle elezioni che avevano portato in dote all'ex sindaco Mirco Mestre la fascia tricolore di Eraclea: «Tutti i contatti tra Donadio e Mestre - ha risposto l'ex braccio destro del boss - sono stati fatti telefonicamente sul numero personale di Mestre».
L'INCONTRO CON SCHIAVONE
Tra gli episodi ricordati da Sgnaolin in udienza, anche la calata da Eraclea a Casal di Principe (Caserta) nel 2001 per incontrare Nicola Schiavone, diventato il reggente dei casalesi della casa madre. «Che Nicola Schiavone fosse il nuovo reggente del clan dei Casalesi ce lo disse Donadio - ha aggiunto Sgnaolin - Ci disse che era il cugino di Francesco Schiavone, per tutti Sandokan, ed era diventato il reggente del clan Schiavone. Sono ormai passati diciannove anni, ma ricordo che era sera e faceva caldo. Schiavone era venuto da solo all'incontro, era nel suo territorio, avrà avuto sui 40 anni: non si capiva se fossimo in centro o in campagna. Dopo l'incontro con lui, al quale hanno partecipato solo Raffaele Bonanno e Donadio, siamo tornati a casa, abbiamo portato a casa Raffaele Bonanno e poi siamo andati a dormire a casa di Antonio Pacifico. La casa di Bonanno e Schiavone non saprei dire quanto distassero una dall'altra. Io e Pacifico però abbiamo aspettato mentre Donadio gli parlava».
IL TESTE CONTATTATO
L'udienza di ieri si è aperta con le spontanee dichiarazioni di Giorgio Di Giacomo, 68enne di Musile di Piave, che si era intestato le quote di due società per poi nascondere le proprietà dei beni dell'associazione mafiosa. Doveva essere testimone mercoledì scorso all'udienza del troncone del processo che si svolge in abbreviato. In aula, ieri, Di Giacomo ha detto che alcuni giorni prima era stato contattato da Girolamo Arena (uno dei principali pentiti, ora in località protetta) tramite un certo Massimo Scopé per vedersi prima dell'udienza e parlarne. L'incontro tra Di Giacomo e Arena non c'è stato e anzi Di Giacomo ne ha riferito al pm e ha depositato un esposto in questura.
Nicola Munaro
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Il Gazzettino