Crac Popolare di Vicenza, la difesa di Zonin: «Trovare le "baciate" era come cercare un ago nel pagliaio»

Gianni Zonin
 Trovare le baciate era come cercare un ago nel pagliaio e Gianni Zonin non aveva le competenze tecniche per capire la reale situazione di Popolare Vicenza, istituto che fino...

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 Trovare le baciate era come cercare un ago nel pagliaio e Gianni Zonin non aveva le competenze tecniche per capire la reale situazione di Popolare Vicenza, istituto che fino al 2014 era stato tenuto in palmo di mano da Banca d'Italia.

Il primo giorno di arringa difensiva di Enrico Ambrosetti, avvocato difensore dell'ex presidente per 19 anni di BpVi, - in aula a Mestre - è una lunga e circostanziata ricostruzione storica e tecnica di un processo il cui esito per il legale sembra già scritto, ricordando come Zonin sia stato sottoposto in questi anni a una gogna mediatica, Ambrosetti ha citato la perizia del professor Gualtieri (attuale ministro dell'Economia) dalla quale emergeva come le baciate - le partite di giro dei finanziamenti di BpVi ai suoi soci per comprare le azioni, secondo l'accusa ammontavano a circa un miliardo mentre per il professore molto meno - transitate per l'approvazione in consiglio d'amministrazione fossero solo una percentuale minima (sotto l'1%) dei finanziamenti complessivamente erogati in quegli anni da Popolare Vicenza. Una massa di operazioni enorme, corredata ognuna da mole di documenti che l'imprenditore vinicolo Zonin (e molti altri consiglieri) non poteva analizzare nel dettaglio e quindi non si sarebbe mai potuto accorgere del problema.


NESSUN RUOLO OPERATIVO


Per Ambrosetti, Zonin in quegli anni non svolgeva ruoli operativi e la gestione della banca era nelle mani di Samuele Sorato, l'ex Ad e direttore generale imputato in un processo connesso sempre in svolgimento a Vicenza e per gli stessi reati attribuiti a Zonin e altri cinque tra ex manager e il consigliere Zigliotto sotto giudizio in questo troncone principale: falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. Per Zonin i pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi hanno chiesto in questo primo grado 10 anni di reclusione, la più alta. Ambrosetti ha cercato di smontare l'idea che Zonin fosse il padre-padrone e della banca, sostenendo come l'ex presidente e la sua famiglia hanno sempre creduto nella banca tanto da investire milioni in azioni, poi bruciati dalla crisi e dalla liquidazione, fidandosi sempre anche della Banca d'Italia che fino al 2014 definiva BpVi istituto di elevato standing. Nella udienza di oggi Ambrosetti entrerà sul concreto cercando di smontare il teorema dell'accusa che per la difesa ha costruito un processo essenzialmente indiziario.
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Il Gazzettino