Processo ai casalesi, il testimone: «Sniffavamo cocaina giocando a scopa»

Il processo in aula bunker ai casalesi
ERACLEA - «La cocaina? La forniva Antonio Pacifico e poi noi la sniffavamo durante le partite a scopa». A...

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ERACLEA - «La cocaina? La forniva Antonio Pacifico e poi noi la sniffavamo durante le partite a scopa».


A raccontare il singolare episodio, al processo sulle presunte infiltrazioni della camorra nel Veneto orientale, è stato lo jesolano Giorgio Salafia, 78 anni, conosciuto con il soprannome di “zio”, il quale era stato ascoltato dagli investigatori nel 2011 in relazione a cessioni di 2-3 grammi di droga per volta proveniente da un gruppo di napoletani di Eraclea. «Quella cocaina faceva schifo», ha aggiunto ieri Salafia, nel corso di una deposizione nella quale, anche a causa dei molti anni trascorsi dai fatti, ha dichiarato più volte di non avere ricordi del tutto nitidi.
Salafia ha precisato di non aver mai acquistato direttamente da Pacifico (ora imputato al “processo casalesi” con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso): sarebbe stato l’amico Gianluca Soliman ad acquistare per poi condivideva la cocaina mentre giocavano a carte. 
Episodi probabilmente già coperti da prescrizione, essendo molto datati e trattandosi di quantitativi minimi di droga, ma ritenuti utili dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, per descrivere l’attività a cui erano dediti i presunti componenti dell’organizzazione criminale finiti sotto processo.
LO SCHIAFFO
Salafia ha quindi ricordato di aver accompagnato Soliman in un paio di occasioni in un capannone, nella zona industriale di Eraclea, da lui descritta come sede della società edile di Pacifico, per incontrare i napoletani e acquistare la droga. 
Ha infine raccontato che Soliman gli confidò di essere stato colpito con uno schiaffo da Pacifico (ma non vide alcun segno di lesioni, ha precisato rispondendo alle domande dei difensori), riferendo che, in un’occasione, fu costretto a consegnare 300 euro a Pacifico, soldi di cui era debitore Soliman. Il tutto senza però ricevere minacce esplicite: «Se i napoletani di intimano di pagare, paghi», ha chiarito. 
Conclusa la deposizione dell’anziano jesolano, Pacifico, assistito dall’avvocato Mauro Serpico, ha chiesto la parola per dichiarare che la sua società non ha mai avuto sede in un capannone in zona industriale.

L’udienza di ieri è terminata all’ora di pranzo in quanto alcuni testimoni, regolarmente citati dalla Procura, non si sono presentati in aula e il Tribunale, presieduto da Stefano Manduzio, ha disposto il loro accompagnamento coatto in occasione della prossima udienza, prevista per il 20 maggio. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino