Primarosa ritrova il "suo" Centurion: «Vivevo qui prima che fosse un hotel»

Primarosa Rinaldi: da bambina aveva vissuto in quel palazzo poi diventato l'hotel Centurion
VENEZIA - All’improvviso i ricordi di una vita intera, le immagini dai contorni sfumati, quasi oniriche, rimaste nella memoria e raccontate agli altri nel timore di perderle...

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VENEZIA - All’improvviso i ricordi di una vita intera, le immagini dai contorni sfumati, quasi oniriche, rimaste nella memoria e raccontate agli altri nel timore di perderle per sempre, hanno ripreso vita tornando in tutta la loro forza a far respirare, anche solo per qualche giorno, le atmosfere di un tempo felice regalando la sensazione di tornare bambini. Questa la storia accaduta a Primarosa Rinaldi, medico italo-argentina che per una vita ha sognato di tornare a Venezia nella casa dove ha trascorso la sua infanzia. «Da tanti anni avevo il desiderio di tornare in questa città dove ho trascorso i miei primi anni di vita – racconta la signora Primarosa, classe 1940, con gli occhi pieni di gioia – Ma il mio più grande sogno era riuscire a tornare proprio, qui, in quella che è stata la mia casa e che avevo scoperto essere diventata un elegante albergo». 


LA MAIL
Così decide di scrivere una e-mail al direttore dell’Hotel Centurion raccontando che proprio nelle stanze che oggi ospitano la hall della struttura c’era la sua casa, al piano terra di Palazzo Genovese, nei pressi della Salute. La risposta da parte del direttore Paolo Marra non si è fatta attendere e il sogno è diventato realtà. «Tra il 1945 e il ’48 ho vissuto in queste stanze – racconta Primarosa – con le finestre che si affacciano sul Canal Grande. Vivevo qui con i miei genitori e le mie tre sorelle e tra queste mura ho trascorso gli anni più belli della mia infanzia, fino a quando siamo stati costretti a lasciare l’Italia per raggiungere Buenos Aires in Argentina». La Guerra era appena finita e Venezia era molto diversa da come appare oggi: «Innanzitutto era piena di bambini che giocavano per strada e riempivano l’aria di risate e giochi, non avevamo molto, ma eravamo felici mentre giocavamo sulle scale della chiesa della Salute o a “campanon” in campo disegnando tutto ciò che serviva con un gessetto». 


RICORDI


I ricordi personali si intrecciano con quelli della comunità: «Frequentavamo la scuola Edmondo De Amicis, in campo Santo Stefano, e attraversare il ponte dell’Accademia ci sembrava un’impresa impossibile, così spesso prendevamo la gondola traghetto e ci facevamo accompagnare dall’altra parte del canale promettendo al gondoliere che poi sarebbe passato il papà a saldare i conti, anche se così non era. Le strade erano piene di soldati alleati e ci improvvisavamo guide turistiche per avere in cambio qualche dolcetto». Intorno al palazzo negozi che ormai non esistono più: un tabaccaio per le caramelle e la cartoleria per i pastelli. «Rivedere il panorama da queste finestre è come fare un tuffo nel passato. Ricordo che una volta mentre mia mamma, cantante lirica, si esercitava, alcuni militari americani che passavano da qui in gondola si fermarono per ascoltarla e alla fine, estasiati, ci lanciarono dalle finestre moltissime dolciumi» e mentre racconta ad un tratto s’interrompe per intonare un pezzo di Lili Marleen, insieme alla figlia Patrizia che l’ha accompagnata a Venezia con tutta la famiglia. 

 

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Il Gazzettino