Don Marco, 54 anni, un parroco-atleta alla Venice Marathon, ma don Daniel lo batte

VILLORBA - Anche quest’anno sono stati numerosi gli atleti che hanno partecipato ieri nella chiesa di San Salvador alla “messa del maratoneta”, in occasione...

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VILLORBA - Anche quest’anno sono stati numerosi gli atleti che hanno partecipato ieri nella chiesa di San Salvador alla “messa del maratoneta”, in occasione della 35. Venicemarathon. Dopo la prima esperienza positiva del 2019, quando avevano partecipato alla funzione duecento atleti, quest’anno l’eucaristia è stata presieduta dal patriarca Francesco Moraglia, assieme al parroco di San Salvador don Roberto Donadoni e a don Marco Carletto, parroco di due comunità a Catena di Villorba e a Lancenigo. Al termine la benedizione dei partecipanti e la “preghiera del maratoneta”. 

LA STORIA
L’idea di portare a Venezia la messa del maratoneta è proprio di don Marco, 54 anni, tesserato dell’Athletica Vaticana, la società sportiva che riunisce sotto l’insegna papale sacerdoti, religiosi e laici, per la maggioranza della Santa Sede. Di tutto rispetto il suo tempo finale: 3h48’27” (record personale). E con lui c’era anche un altro sacerdote in gara, don Daniel Tumiel, polacco, che ha corso in 3h28’34”. Don Daniel lavora in Segreteria di Stato in Vaticano. «Ho iniziato a correre 14 anni fa per la mia necessità di fare sport senza troppi vincoli e ho già partecipato a 12 maratone, di cui 4 a Venezia -spiega don Carletto- Si corre quando si può, al mattino presto o nei ritagli di tempo. E ugualmente si intrecciano rapporti sociali, soprattutto nelle maratone. Athletica Vaticana è una società che non si limita a raccogliere podisti e ciclisti ma ha attenzione alle persone, a difficoltà e sofferenze. A Venezia è solo alla seconda edizione, causa il fermo 2020 per pandemia, ma la tradizione esiste da tanti anni, viene dagli Usa, dove è celebrata il giorno prima della maratona di New York». 


L’ESPERIENZA


«Quella di Venezia è davvero una bella corsa -spiega ancora don Marco- La più bella però per me è stata quella dell’aqua granda, anche se la marea abnorme ha provocato gravi danni in città. Un’esperienza particolare, tra la pioggia, l’acqua alta, il darsi forza l’un l’altro, l’incoraggiarsi correndo. L’ho sperimentato in questi anni: durante la corsa, i primi 25 km si va in autonomia, guardando avanti; gli ultimi 10 km si sente la fatica nelle gambe e si rallenta un po’, vieni raggiunto da qualcuno e si fa una parola, ci si incoraggia. Se indosso la maglietta della Athletica Vaticana creo l’occasione per parlare anche di cose di chiesa. Si crea uno spazio di socializzazione». 

 

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Il Gazzettino