Nessuna verità, prescrizione al processo per la morte di Donatoni: qualcuno lo uccise, ma non si sa chi

L'ispettore polesano venne ucciso nel 1997 durante un'operazione per catturare i rapitori di Soffiantini. Accusati erano due agenti. La mamma Lauretta Negri di recente aveva detto: "Dopo 25 anni spero nella giustizia, ma mi sento presa in giro"

Samuele Donatoni, ucciso nel 1997
ROVIGO - È bastato il riconoscimento delle attenuanti generiche, considerate equivalenti alle aggravanti contestate, per far scattare la prescrizione. Si conclude con altro...

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ROVIGO - È bastato il riconoscimento delle attenuanti generiche, considerate equivalenti alle aggravanti contestate, per far scattare la prescrizione. Si conclude con altro nulla di fatto l'ultimo capitolo delle vicende giudiziarie legate alla morte di un servitore dello Stato, Samuele Donatoni, ispettore del Nucleo operativo centrale di sicurezza, di Canaro, caposcorta del procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, ucciso il 17 ottobre 1997, mentre guidava la squadra che doveva eseguire il blitz per catturare i rapitori dell'imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini. Un falso scambio di denaro che doveva far scattare una trappola e che si è trasformato in una tragedia costata la vita al poliziotto polesano che aveva solo 32 anni. Ucciso più volte perché la giustizia è stata incapace di scrivere in una sentenza definitiva la verità dei fatti.

LA RICHIESTA DEL PM
Nell'udienza del 17 febbraio il pm Erminio Amelio aveva chiesto una condanna a 8 anni per Claudio Sorrentino e a 7 per Stefano Miscali, i due poliziotti che componevano la squadra dei Nocs quella drammatica notte. «Rendiamo giustizia - aveva detto il pm nella requisitoria - perché se Donatoni è morto, qualcuno l'ha ucciso. E se non sono stati i banditi, perché lo dicono le sentenze, qualche altra mano ha sparato».
A sparare, secondo questa ricostruzione, sarebbe stato Miscali, mentre Sorrentino l'avrebbe coperto. Inizialmente due sentenze, della Prima Sezione della Corte d'Assise di Roma e della Corte d'Assise d'Appello di Roma, sulla base delle prime consulenze effettuate, ritennero che a uccidere l'ispettore Donatoni fosse stato il kalashnikov di Mario Moro, il capo della banda di rapitori, poi morto e mai condannato. Tuttavia, nel processo a un altro dei rapinatori, Giovanni Farina, emerse che Donatoni era stato colpito da un proiettile esploso da una Beretta in dotazione alle forze di polizia, da distanza ravvicinata. Fuoco amico, quindi, secondo la sentenza confermata in appello e in Cassazione. Nel 2007, con l'omicidio colposo e la falsa testimonianza già prescritti, i due erano stati rinviati a giudizio per calunnia pluriaggravata. Non ancora prescritta proprio in virtù di quelle aggravanti che sono cadute nella valutazione della Prima Sezione della Corte d'Assise di Roma.

LA DECISIONE


La sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione è arrivata alle 17.27 di ieri, dopo le repliche di accusa e difese durate quasi un'ora e mezzo e dopo oltre un'ora di camera di consiglio. Dopo l'ultima udienza la mamma dell'ispettore Donatoni, Lauretta Negri, aveva espresso una flebile speranza, venata dall'amarezza di una verità che in ogni caso non sarebbe mai completamente emersa per le plurime e diffuse responsabilità del suo insabbiamento: «Spero che finalmente la giustizia ristabilisca la verità, ma a ottobre saranno passati 25 anni dalla morte di Samuele e il fatto che dopo tutto questo tempo ancora non sia finita, non fa che aggravare il mio dolore. Vedremo il 12 aprile, quando ci sarà la sentenza, l'unica cosa che posso dire è che mi sento presa in giro è che non è solo colpa loro. Lo Stato non vuole mai perdere». Forse così ha perso. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino